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AI Act: l’Italia è l’unica nazione dell’UE contraria a una regolamentazione dei foundation models. The Good Lobby Italia, Privacy Network e Hermes: “posizione inaccettabile”.

“Chiediamo con forza al Governo italiano di ribaltare la posizione espressa in occasione delle negoziazioni per l’AI Act. Non è accettabile che l’Italia si esponga contro la regolamentazione dei foundation models” lo chiedono The Good Lobby Italia, Privacy Network, Hermes Center for Transparency and Digital Human Rights, StraLI, Period Think Tank, Gender & Policy Insights nella lettera inviata all’attenzione del Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso e del Viceministro Valentino Valentini.

L’Italia – con la Francia e la Germania – è l’unica nazione dell’Unione Europea a esprimere un orientamento contrario ai foundation models; questa posizione rischia di mandare all’aria 2 anni di sforzi e di lavori per giungere a una disciplina comune e armonizzata.

I codici di condotta proposti dall’Italia sono per loro stessa definizione non vincolanti, al contrario di un regolamento europeo. “In questo modo i cittadini e le realtà economiche che subiranno una violazione di un diritto non avranno alcuna possibilità di ricorrere a un giudice nazionale, e tutto ciò contrasta con le garanzie che ci si aspetta da uno stato di diritto completo”, dichiara Martina Turola di The Good Lobby Italia.

Ci sfugge il vantaggio economico o democratico contenuto nella proposta avanzata dall’Italia. Siamo infatti di fronte a un controsenso in quanto la non regolamentazione dei foundation models si contrappone all’interesse nazionale.

Ricordiamo infatti che i service provider italiani in larga parte costruiscono la propria tecnologia sull’open source. Senza una regolamentazione dei foundation models non avrebbero modi per validare la bontà dei modelli, e dovrebbero subire oneri di validazione e verifica. “Anche la European Digital SME Alliance, che rappresenta le pubbliche-medie imprese europee, chiede da giorni una presa di posizione nell’AI Act che individui regole chiare da far ricadere sui provider, che tutelerebbero l’ecosistema imprenditoriale europeo. Il Regolamento vuole proteggere i diritti dei cittadini senza compromettere l’innovazione: è sbagliato pensare che queste due necessità siano in conflitto”, chiarisce Diletta Huyskes di Privacy Network.

“Confidiamo che Urso e Valentini rivedano la loro posizione, che solo non tutela il Made in Italy, ma che anzi finisce per danneggiarlo”, conclude Claudio Agosti del Centro Hermes “Al contrario di pochi attori globali che vogliono addestrare questi foundation model senza obblighi di trasparenza e di accuratezza, tra cui l’industria francese e tedesca. Chi sviluppa open source non può farsi carico di verificare la bontà di ogni modello. Dovrebbero essere validi, se non addirittura certificati da regole europee, alla fonte. L’industria italiana, anche in assenza di investimenti, esiste e per lo più si affida all’open source. Aggiungere loro delle esternalità di compliance per toglierle ai grandi attori, è una scelta che la porterà a faticare ancora di più”.