Articolo apparso il 16 aprile 2019 sul blog di Riparte il futuro
Riparte il futuro ci ha lavorato dal 2014: il team ha raccolto quasi 200mila vostre firme, percorso oltre 20mila chilometri, parlato con centinaia di persone fra politici, giornalisti e colleghi di altre nazionalità, scritto pagine e pagine di briefing e schede tecniche, e per fortuna è servito: la direttiva sulla protezione dei whistleblower è stata approvata!
Abbiamo letto subito il testo approvato dal Parlamento europeo per potervi dare un aggiornamento in tempo reale. Ecco il nostro commento.
Con l’introduzione di una Direttiva che stabilisce standard minimi di protezione a tutti i potenziali whistleblower dell’Unione, le istituzioni europee hanno compiuto un passo fondamentale nella giusta direzione, riconoscendo l’utilità di segnalare corruzioni e altri reati come mezzo per prevenirli in nome dell’interesse pubblico.
La Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla protezione di coloro che segnalano violazioni del diritto dell’Unione riconosce l’alto sacrificio personale che deriva dal denunciare in assenza di protezioni legali, fra cui la perdita del posto di lavoro e danni fisici e psicologici. Più in generale, la Direttiva contribuisce a rafforzare i valori democratici e la certezza del diritto, sostenendo coloro che difendono questi valori, anziché lasciarli al loro destino.
La Direttiva migliorerà la vita dei whistleblowers in tutta l’Unione, sia nel settore pubblico sia in quello privato. Infatti al momento vi sono molte differenze nel trattamento giuridico dei whistleblower in Europa.
Inoltre la direttiva prevede che le autorità pubbliche e regolatorie nonché le imprese private debbano implementare specifiche procedure che garantiscano la sicurezza delle segnalazioni e l’efficacia delle indagini. Le imprese con più di 50 dipendenti saranno obbligate ad attivare canali interni di ricezione delle segnalazioni che abbiano standard specifici sulla confidenzialità, sulla conservazione dei documenti e sullo svolgimento delle indagini interne.
Questa Direttiva contiene una buona legislazione; ciò nonostante abbiamo ancora alcune preoccupazioni, verso le quali ci auguriamo che gli Stati Membri abbiano un atteggiamento cauto in sede di recepimento nazionale, che commentiamo di seguito.
La Direttiva fornisce tutela legale a quegli individui che hanno segnalato illeciti relativi agli interessi finanziari dell’UE, all’operatività del mercato unico e a violazioni del diritto dell’Unione. Ciò include molte aree di competenza dei trattati europei, quali sicurezza alimentare, servizi finanziari, tutela dei dati personali, appalti, riciclaggio di denaro e finanziamento al terrorismo, sicurezza dei prodotti, trasporti, protezione dell’ambiente, sicurezza nucleare, salute animale, salute pubblica, protezione dei consumatori, sicurezza informatica e violazioni delle regole del mercato interno.
La Direttiva fornisce tutela legale contro una serie ampia di discriminazioni relative al luogo di lavoro, nel caso in cui il/la whistleblower abbia “acquisito informazioni su presunte violazioni nell’ambito di un contesto lavorativo” sia nel settore pubblico sia in quello privato. Ciò include dipendenti, lavoratori a contratto, liberi professionisti e consulenti, fornitori, ex-lavoratori, stagisti, volontari ed altri stakeholders. In tal modo viene assicurata la parità di trattamento fra lavoratori.
Non c’è un esame dello stato psicologico soggettivo del/la whistleblower al fine della tutela. Un/a whistleblower deve solamente avere ragionevoli motivi per ritenere che il suo report è veritiero e rientri nell’ambito della Direttiva.
Un aspetto positivo riguarda la non gerarchia fra i canali di segnalazione: i/le whistleblowers possono rivolgersi sia a canali interni che esterni, in base alle circostanze del caso concreto. Questa previsione è una grande vittoria della nostra campagna, poiché inizialmente il testo prevedeva un obbligo preliminare di segnalare internamente.
Le società con più di 50 dipendenti dovranno implementare canali di segnalazione di cui almeno uno elettronico e designare personale dedicato a ricevere e investigare le segnalazioni. Inoltre l’autorità ricevente dovrà dare riscontro al/la whistleblower entro 3 mesi: anche questo è un aspetto importante, poiché spesso molte persone non denunciano perché sanno che il loro report cadrà nel vuoto. L’obbligo di riscontro vuole prevenire questo fenomeno. In linea con queste disposizioni, anche le autorità amministrative competenti devono dare riscontri trimestrali e rendiconto periodico delle segnalazioni ricevute.
I/le whistleblowers possono rivolgersi alle autorità competenti esterne all’azienda, oppure direttamente ai media o alle ong, qualora ritengano che una segnalazione interna potrebbe compromettere il buon esito dell’indagine, oppure quando non ricevono riscontri dopo aver segnalato internamente.
Gli Stati membri dovranno, ai sensi della Direttiva, introdurre misure che proibiscano gli atti di discriminazione contro i/le whistleblower. Ciò è previsto anche dall’attuale normativa italiana. Se tali casi finiscono davanti a un giudice, si applica l’inversione dell’onere della prova: sarà il datore di lavoro a dover dimostrare che le misure erano non discriminatorie bensì giustificate da altri motivi. Sono previste anche sanzioni per chi ha posto in essere atti discriminatori, come anche nella nostra legge nazionale.
Peraltro, la Direttiva fa salve le previsioni nazionali più favorevoli ai/lle whistleblower, nel senso che qualsiasi Stato membro è autorizzato a non recepire previsioni della direttiva che offrano minore protezione di quelle eventualmente già in essere in quello Stato (come in Francia o in Olanda, per esempio).
Non abbiamo dubbi che la Direttiva migliorerà la vita di molte persone in Europa.
Tuttavia, rimangono alcune criticità che la Direttiva avrebbe potuto affrontare diversamente. Pensiamo, ad esempio, alla segnalazione sui media: non è sempre facile per il/la whistleblower, che ha un punto di vista necessariamente limitato (non ha davanti a sé l’intero quadro della situazione), capire se le caratteristiche del suo caso permettano di rivolgersi direttamente ai media.
Un punto debole ma molto importante della Direttiva riguarda la responsabilità del/la whistleblower per le informazioni che acquisisce al fine di segnalare. L’acquisizione è tutelata solo qualora “tale acquisizione o accesso non costituisca di per sé una violazione di norme penali” incluse quelle a tutela del segreto (industriale o di stato). Questa previsione non tiene conto del fatto che spesso il/la whistleblower, per procedere ad una segnalazione fondata e supportata da prove, deve necessariamente acquisire documenti che non sono già in suo possesso o a cui non potrebbe accedere.
Un terzo punto riguarda l’anonimato. Nella direttiva non vi è alcun obbligo per gli Stati membri di fornire canali anonimi per le segnalazioni. In aggiunta, gli Stati membri hanno la facoltà di escludere le segnalazioni anonime dal novero di quelle che devono obbligatoriamente essere riscontrate dalle autorità riceventi.
Infine, rimane aperta la questione di quale sorte avranno le segnalazioni originate in quelle aree non coperte dalla direttiva, come per esempio la sicurezza nazionale e il settore della difesa. Noi ci auguriamo che in fase di recepimento nazionale tali previsioni siano estese anche ai lavoratori e alle lavoratrici di questi settori, affinché possano anch’essi beneficiare della nuova legislazione.
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