Maurizio U.
1 giorni fa
Vincenzo P.
2 giorni fa
Paolo V.
4 giorni fa
La presunta corruzione non sarebbe a favore di uno Stato ma, questa volta, del potente gigante delle telecomunicazioni cinese Huawei, che, come tutte le grandi aziende globali, ha stabilito nella capitale dell’Unione Europea un proprio ufficio dedicato ad attività di lobbying.
Questa vicenda certifica infatti l’importanza di Bruxelles quale centro politico mondiale, secondo solo a Washington per presenza di rappresentanze istituzionali di associazioni di categoria, aziende più o meno grandi, organizzazioni non governative, studi legali e società di consulenza.
A dimostrarlo sono i numeri: il registro della trasparenza, a cui devono iscriversi tutti coloro che intendano influenzare le politiche europee (ad esempio attraverso incontri diretti con gli europarlamentari e gli alti funzionari della Commissione) conta più di 12.000 voci, di cui quasi 900 italiane. Va da sé che a fronte di un alto tasso di professionisti che agiscono attenendosi alle regole in materia di lobbying rese più rigide in risposta al Qatargate, non si possono escludere le classiche mele marce, pronte a facilitare un dossier attraverso comportamenti e azioni non esattamente ortodosse, talvolta al limite della rilevanza penale.
E tuttavia, queste mele marce ben sanno che – sebbene l’asticella dell’integrità sia stata alzata dopo lo scandalo che nel 2022 ha travolto il Parlamento di Bruxelles – non mancano le possibili scappatoie, a partire dai controlli, giudicati del tutto insufficienti. In risposta al Qatargate la presidente Metsola aveva proposte 14 misure volte a rafforzare la trasparenza, a prevenire i conflitti di interessi, a promuovere l’integrità nel Parlamento, misure che, però, sono state solo parzialmente approvate da Strasburgo.
Questo è un estratto di un articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano. Puoi continuare a leggerlo qui.