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Legge sul lobbying: bene l’approvazione ma è un compromesso al ribasso

Il Senato deve migliorare il testo eliminando la clausola di esclusione per Confindustria e sindacati

E’ dal 1976 che si tenta senza successo di regolamentare l’attività di rappresentanza di interessi. Dopo 96 progetti di legge falliti, la Camera ha finalmente approvato in prima lettura  il disegno di legge sul lobbying e ora si attende il passaggio in Senato. Un primo traguardo storico, ottenuto anche e soprattutto grazie all’impegno e alla pressione esercitata dalla coalizione #Lobbying4Change, che si batte da anni per processi decisionali trasparenti e inclusivi, che garantiscano a tutti i soggetti portatori di interessi (generali o particolari) la possibilità di contribuire alle scelte fatte dal governo, dal Parlamento, dalle regioni. 

L’approvazione da parte della Camera dimostra che finalmente i tempi sono maturi per affrontare un tema cruciale per il funzionamento delle nostre democrazie liberali: tanto più è chiara la cornice normativa entro la quale i portatori di interessi possono muoversi, tanto migliore sarà la qualità delle politiche pubbliche, che potranno alimentarsi del contributo di tutti i soggetti (organizzazioni non governative, aziende, associazioni di categoria, accademici) in grado di offrire ai decisori pubblici il loro punto di vista attraverso dati e informazioni. Vanno in questa direzione l’introduzione di un registro della trasparenza unico a livello nazionale e le agende degli incontri, strumenti già adottati con successo dalle istituzioni europee. 

Se da un lato non possiamo che salutare con favore questo passo in avanti verso una norma necessaria per il corretto funzionamento della nostra democrazia, dall’altro esprimiamo preoccupazione per gli effetti negativi di un compromesso al ribasso sul testo di legge. Sono diversi i punti su cui ora il Senato sarà chiamato a migliorarlo, come abbiamo più volte segnalato nel corso della discussione in Commissione Affari costituzionali della Camera.

Prima di tutto, la gravissima esclusione delle associazioni imprenditoriali, dei principali sindacati e delle confessioni religiose dall’obbligo di iscriversi al registro della trasparenza. Ciò significa che mentre le organizzazioni della società civile, le aziende, le società di consulenza dovranno segnalare in maniera puntuale gli incontri tenuti con i decisori pubblici e i dossier su cui si lavora, né Confindustria (con tutte le sue organizzazioni settoriali) né CGIL, CISL e UIL dovranno rendicontare l’attività di rappresentanza di interessi svolta. Come se esistessero interessi di serie A e interessi di serie B. Numerose ricerche che hanno analizzato l’efficacia di leggi sul lobbying in altri Paesi europei, dimostrano che restringere il campo di applicazione delle regole di rappresentanza di interessi, attraverso definizioni di lobbying deficitarie ed esenzioni per particolari categorie, mina gravemente la solidità e la legittimità delle norme sulla trasparenza.  Sulla base di questi dati un gruppo di 40 accademici di tutto il mondo ha sottoscritto una lettera a sostegno della nostra richiesta di non approvare una legge a due velocità che finirà inevitabilmente per privilegiare gli attori più influenti sul campo.

Non meno dubbia, la definizione ristretta di decisore pubblico: se da una parte la legge varrà giustamente per i parlamentari, i membri del governo ma anche per i consiglieri regionali e i sindaci, non è comprensibile l’esclusione dagli obblighi di trasparenza delle figure apicali e degli alti dirigenti con potere di firma. Soprattutto in vista dell’attuazione del PNRR, queste figure giocheranno un ruolo importante in processi decisionali che impattano sulla vita dei cittadini.

Infine, le disposizioni previste dalla legge in merito alle porte girevoli (revolving doors) fra politica e affari sono troppo blande. Non è sufficiente infatti prevedere un anno di “raffreddamento” solo per i membri del Governo, prima che possano esercitare la professione di lobbista.  Questo periodo dovrebbe durare almeno due anni ed essere applicato anche a tutti i decisori pubblici.

Per questo motivo le 32 organizzazioni della coalizione #Lobbying4Change, “accolgono positivamente il progresso nel dotare il Paese di una legge così importante per salvaguardare i processi democratici  e renderli più inclusivi ma chiedono con forza chiedono con forza ai nostri rappresentanti eletti di correggere il lavoro svolto finora – dichiara Federico Anghelé, direttore di The Good Lobby, associazione promotrice della coalizione. “Il Senato ha  l’opportunità di non sprecare questa occasione storica e di dotare il Paese di una legge sulla trasparenza dei processi decisionali efficace e in linea con gli standard internazionali”. 

 

La coalizione #Lobbying4Change è formata da 32 organizzazioni della società civile, dai profili molto diversi, ma accomunate dalla battaglia per decisioni pubbliche più trasparenti e inclusive, capaci di tener conto anche del punto di vista di chi pur difendendo l’ambiente, la salute, i diritti civili, quelli dei consumatori, viene  troppo spesso escluso dal dibattito politico.