Irene B.
5 ore, 55 min fa
Roberto F.
Ieri
Martina B.
1 giorni fa
Qual è il modo migliore per regolare il lobbying nel nostro Paese? E quali altri aspetti dovrebbero essere regolati per rendere il rapporto tra cittadini e istituzioni davvero trasparenti?
Ne abbiamo discusso, trattando i diversi aspetti del lobbying e della trasparenza dei processi decisionali, nell’intervista a puntate “Come cambia il lobbismo? Un viaggio nella rappresentanza degli interessi, tra vecchi riti e nuove prospettive di partecipazione” rilasciata in esclusiva sul nostro blog da quattro esperti del mondo accademico internazionale: Michele Crepaz dell’Università di Galway, Fabrizio De Francesco dell’Università di Glasgow, Raj Chari del Trinity College di Dublino e Philipp Trein dell’Università di Ginevra.
Ecco cosa ci hanno risposto.
La misura fondamentale per la trasparenza del lobbying è l’istituzione di registri in cui i lobbisti devono iscriversi e rilasciare informazioni sulle loro attività. Questo rende il lobbying pubblico, nel senso che può essere osservato dagli stakeholder esterni che desiderano monitorare l’attività. Abbiamo appreso, da recenti studi, che i principali fruitori dei registri di lobbying sono i giornalisti e gli stessi lobbisti. Di conseguenza, il legislatore dovrebbe considerare questo aspetto per rendere i registri strumenti efficaci di trasparenza.
In primo luogo, bisogna trovare il modo di coinvolgere il pubblico. La promozione e la diffusione del registro da parte delle istituzioni governative sono essenziali per comunicare all’esterno che l’attività di lobbying è ora più trasparente. In secondo luogo, i registri devono essere progettati in modo da massimizzare i vantaggi per chi li utilizza. Perciò, la trasparenza deve essere legata all’uso che ne fanno i giornalisti, le ONG e i lobbisti. Nel primo caso, i registri devono fornire informazioni sufficienti per consentire il controllo da parte dei media e degli altri soggetti. Per quanto riguarda quest’ultimi, il registro deve offrire informazioni preziose per il lobbista di professione. Ovvero informazioni sulle attività politiche del governo, informazioni su altre organizzazioni, sui partner e concorrenti e sulle loro strategie. Questo può potenzialmente ridurre le asimmetrie informative e promuovere la parità di condizioni tra le organizzazioni iscritte nel registro.
Dal nostro lavoro di ricerca è emerso che i sistemi più solidi chiedono ai lobbisti di fornire molte informazioni (come chi sono, la loro area di interesse, i potenziali progetti di legge che vogliono cercare di influenzare, esperienze passate di lavoro per il governo e le informazioni finanziarie) oltre a dover riferire regolarmente sulla loro attività di lobbying. Altri sistemi, meno solidi, richiedono meno informazioni da divulgare. L’insieme delle informazioni rese pubbliche, così come la comunicazione degli effetti della regolamentazione del lobbismo, sono molto importanti. Questo è anche uno dei motivi per preferire un’autorità indipendente per la tenuta e per il controllo del registro.
Il secondo aspetto delle normative sul lobbismo ha meno a che fare con la trasparenza e riguarda l’insieme delle regole comportamentali. I codici di condotta, le disposizioni sulle “revolving doors”, le dichiarazioni sui conflitti di interesse, rientrano in questa categoria. Queste regole sono più difficili da introdurre perché toccano anche il comportamento dei legislatori e le loro potenziali future carriere. Gli incentivi all’autoregolamentazione e al limitare i propri comportamenti sono quindi molto bassi per i decisori pubblici. Questo è il motivo per cui, a nostro avviso, le migliori pratiche in qualsiasi sistema di regolamentazione del lobbying dovrebbero avere come base un sistema di registrazione monitorato da un’autorità indipendente, che possa imporre sanzioni per il mancato rispetto delle regole e suggerire anche revisioni periodiche del regolamento.
Un aspetto finale e strumento meno esplorato della regolamentazione del lobbismo, è la partecipazione. Principio che accogliamo con grande favore. Tuttavia, va detto che una recente ricerca mostra che i politici spesso non hanno “orecchie” per le consultazioni pubbliche. Il rischio di avere un sistema di consultazione degli stakeholder solo simbolico è alto. Il legislatore dovrebbe valutare attentamente in quale misura può impegnarsi in un tale sistema nel processo decisionale.
La regolamentazione del lobbying italiana è un caso unico, con l’adozione di diversi registri in poche istituzioni (un ramo del parlamento, solo 4 ministri e 6 regioni su 20). Ci sono diversi aspetti negativi con una tale frammentazione, ma anche uno positivo.
L’aspetto negativo è la presenza di “gap normativi”. Si pensi che la Camera dei Deputati ha un registro ma il Senato non ce l’ha; e che la maggior parte dei regolamenti sono redatti da diversi ministeri congiuntamente. Un gruppo di interesse che vuole agire nell’oscurità può essere tentato di fare pressioni su un legislatore che fa parte di un ministero in cui manca una regolamentazione. A livello regionale (con l’adozione dei registri della trasparenza a macchia di leopardo ndr) c’è una differenziazione nell’applicazione del “diritto di sapere” dei cittadini: solo alcuni cittadini residenti in poche regioni godono effettivamente di tale diritto. Il legislatore italiano dovrebbe urgentemente colmare queste lacune.
Passando invece all’aspetto teorico positivo, dal punto di vista delle scienze politiche, si potrebbe sostenere che tale differenziazione nella progettazione e nell’applicazione della normativa sul lobbismo consenta la sperimentazione, che permette alle istituzioni di imparare dai prototipi di successo (o fallimento) delle normative sul lobbismo adottate nelle diverse regioni. Tuttavia, è necessario rilevare che il sistema politico italiano non ha una tradizione di piattaforme istituzionali per condividere l’esperienza “politica”. Affinché tale frammentazione sia vantaggiosa, dunque, le diverse esperienze delle regioni dovrebbero essere analizzate e condivise in modo che le migliori pratiche ed anche le esperienze negative siano parte della discussione politica. Data questa incapacità istituzionale, non vediamo alcun vantaggio nel mantenere questa frammentazione normativa.
Si può sostenere che i legislatori italiani abbiano istituito un “regime di trasparenza” ricco di strumenti anticorruzione e misure di trasparenza rivolte quasi esclusivamente ai dipendenti pubblici e agli amministratori pubblici. In poche parole, il legislatore italiano ha adottato molti meccanismi di trasparenza, ma queste riforme tendono ad ostacolarsi tra loro. Questa può essere una spiegazione della lunga gestazione della regolamentazione italiana sul lobbying e della debole legge che regola il conflitto di interessi (sebbene l’Italia abbia una normativa anticorruzione che riguarda il traffico di influenze illecite).
Di conseguenza, è tempo che i legislatori italiani agiscano e rendano trasparente i processi di formazione delle politiche riformando, oltre al lobbying, il modo in cui vengono elaborati la funzione legislativa del governo (poiché la legge sulla procedura amministrativa del 1990 esclude il processo legislativo), il bilancio, il conflitto di interessi, la dichiarazione patrimoniale, il finanziamento dei partiti. È inoltre fondamentale riflettere attentamente sulla progettazione delle istituzioni che sovrintendono a tali meccanismi di trasparenza. In questo contesto istituzionale, è essenziale creare un sistema di audit indipendente in grado di esaminare e valutare le politiche. A questo proposito, pensiamo all’esperienza del Government Accountability Office negli Stati Uniti, del National Audit Office nel Regno Unito e della Corte dei conti europea nell’UE.
27 Novembre 2024
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