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30 Ottobre 2020

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Elezioni USA 2020: 14 miliardi per un presidente

Tutte le cifre della campagna elettorale più costosa di sempre

di Salvatore Papa

Mancano pochi giorni alle elezioni negli Stati Uniti e l’attenzione sul risultato della campagna elettorale più costosa della storia è altissima. Lo sarebbe in tempi “normali”, figuriamoci con una pandemia in corso. Gli interessi in gioco sono molto alti: stiamo parlando della prima economia al mondo, una potenza in grado di condizionare gli equilibri geopolitici su scala globale. 

Non è un mistero che grossi gruppi economici e lobby private finanzino la campagna elettorale di Trump o di Biden con l’intento di influenzarne le scelte politiche una volta eletti. Ma prima di addentrarci nell’analisi dei numeri da capogiro che stanno caratterizzando questa campagna elettorale, cerchiamo di chiarire un po’ le idee sul sistema di finanziamento della politica negli USA. In soccorso ci viene la prof. Chiara Fiorelli dell’Università «La Sapienza» di Roma, che in diretta sui nostri canali social, ha fornito una panoramica completa sul sistema di regole e sugli attori protagonisti del finanziamento dei candidati negli USA: PACs, Super PACs, Comitati elettorali, fundraising e microdonazioni. 

Una panoramica sul sistema di finanziamento della politica negli USA

Il sistema di finanziamento americano è composto da una compagine di attori diversi, viene classificato come principalmente privato, ed effettivamente lo è. Gli attori che scendono in campo sono di due categorie, quelli strettamente politici e qui mi riferisco al Comitato legato espressamente al candidato presidente e al suo partito di appartenenza, il National committee. E poi ovviamente al comitato personale del candidato: sappiamo che la politica americana è fortemente incentrata sulla persona ed ogni candidato organizza, infatti, un proprio comitato indipendente dal partito. 

Aldilà degli attori strettamente politici, troviamo una miriade di organizzazioni che si occupano del finanziamento e del supporto delle campagne presidenziali. I più famosi sono i PACs (Political action committee) delle organizzazioni che possono finanziare numerosi e diversi candidati, non soltanto per le campagne presidenziali, ma anche per le diverse sfide per il Congresso. Questi sostanzialmente raccolgono donazioni individuali per poi versare il denaro raccolto ai candidati. Da qualche anno, a partire dal 2010, troviamo anche i Super PACs (Super Political action committee) che si distinguono dai PAC’s perché non posso effettuare donazioni dirette ai candidati. Il discorso è molto sottile: i Super PACs non possono effettuare trasferimenti di denaro diretti al comitato del candidato, ma possono organizzare una campagna “parallela” a supporto di un candidato oppure per ostacolare un altro candidato realizzando documentari, spot e campagne pubblicitarie. Tantissimi sono i super PAC’s impegnati esclusivamente nell’ostacolare la campagna di Trump o di Biden. Infine, ci sono i donatori individuali, ovvero, i singoli cittadini. Quindi possiamo affermare che il sistema di finanziamento della politica negli USA è prettamente privato.

Un mito da sfatare…il finanziamento pubblico 

Sfatiamo un mito però, il finanziamento pubblico in America esiste, ed esiste solo ed esclusivamente per le campagne presidenziali. È stato istituito tra il 1971 e il 1974 con il Federal Election Campaign Act, la prima legge federale che regolamenta le campagne presidenziali americane. 

Questa legge sancisce la nascita della Federal Election Commission, quella dei PACs ed introduce le regole sulla trasparenza delle campagne elettorali: tutte le organizzazioni che partecipano alla campagna di un candidato devono rendicontare continuamente, anche più di una volta al mese, i loro movimenti finanziari alla FEC. 

Inoltre, istituisce anche il Presidential Election Campaigning Fund, un fondo nato con la finalità di garantire un’equa partecipazione da parte di tutti i candidati alla campagna presidenziale. In pratica, ogni cittadino ha la possibilità di donare una parte delle proprie tasse sul reddito: inizialmente un dollaro, oggi 3 dollari. Questo fondo cresciuto nel tempo, oggi si aggira intorno ai 300 milioni di dollari e copre tutto l’arco della campagna presidenziale. Si parte con la Nomination Season (la fase delle elezioni primarie per la scelta del candidato di ogni schieramento ndr) in cui ai candidati è destinata una cifra di pari valore rispetto a quella raccolta attraverso le singole donazioni. Accettare i fondi pubblici però significa anche dover rispettare un tetto di spesa, fissato a 50 milioni per ogni candidato.

Il fondo copre anche la Convention, l’evento nazionale dove viene ufficializzato il nome del candidato presidente. In questa fase la cifra di 30 milioni di dollari è distribuita tra i due partiti maggiori. L’ultima fase, la General election season (le elezioni vere e proprie ndr) è coperta dal fondo pubblico solo ed esclusivamente se il candidato decide di rinunciare alle donazioni private.

Negli ultimi anni molti candidati hanno deciso di rinunciare ai fondi pubblici. Il primo è stato Bush nel 2000 che rinunciò al fondo per la Nomination riuscendo comunque a raccogliere una cifra maggiore rispetto a quella garantita dal finanziamento pubblico. Invece, Il primo candidato a rinunciare al fondo pubblico per la General election season è stato Obama nel 2008. Da allora nessun candidato arrivato alla fase finale delle elezioni ha accettato i soldi pubblici e tutti sono riusciti a raccogliere maggior denaro attraverso le fonti di finanziamento privato.

Adesso che le idee sul sistema di finanziamento dovrebbero essere un po’ più chiare, possiamo scendere nel dettaglio, guardando alle somme raccolte dai candidati, dai partiti e soprattutto ai soggetti che stanno donando di più in questa campagna elettorale.

USA 2020: le elezioni che battono tutti i record

Il costo totale delle elezioni presidenziali 2020 sarà di quasi 14 miliardi di dollari. È questa la stima (inizialmente di 11 miliardi, in questi giorni ritoccata al rialzo) del Center for Responsive Politics, un gruppo di ricerca che si occupa del monitoraggio del denaro in politica negli Stati Uniti. Le Elezioni che si terranno il 3 novembre prossimo si accingono a infrangere tutti i precedenti record di spesa, basti pensare che anche tenendo conto dell’inflazione i dollari spesi saranno più del doppio di quelli delle elezioni del 2016.

La pandemia non sembra aver fermato lo scontro tra i sostenitori di Trump e Biden anche nelle donazioni, ma il terreno di gioco si è spostato dai tradizionali eventi di raccolta fondi, alle campagne pubblicitarie sui social network. Le inserzioni a pagamento su Facebook e Google sono costate complessivamente oltre 1 miliardo di dollari e hanno contribuito a stimolare i singoli cittadini che, a colpi di Benjamins (così sono soprannominati i biglietti da 100 dollari), stanno offrendo un grosso “supporto” da una parte e dall’altra; a questo si aggiunge l’aumento anche dei grandi donatori e la mastodontica campagna di Michael Bloomberg da circa un miliardo di dollari. 

Il Presidente Donald Trump ha avuto il vantaggio di iniziare prima le sue attività di raccolta fondi, ancor prima che i Democratici iniziassero le primarie, e fa segnare la cifra di 596 milioni di dollari raccolti. Ma il suo sfidante Joe Biden, cavalcando un entusiasmo senza precedenti tra i donatori democratici, lo ha superato nel giro di pochi mesi raccogliendo la bellezza di 938 milioni di dollari.

 

La spesa per sola corsa presidenziale è stimata in circa 6,6 miliardi di dollari a cui si aggiungono i 7,2 miliardi stimati per l’elezione del Congresso dove si conferma il forte vantaggio dei Democratici sui Repubblicani. 

Anche non considerando la spesa dei miliardari Bloomberg e Tom Steyer, i candidati e i gruppi Democratici hanno speso 5,5 miliardi di dollari rispetto ai 3,8 miliardi di dollari dei Repubblicani. Mai nella storia i Dem avevano avuto un vantaggio finanziario così grande.

 

 

In queste elezioni sta crescendo anche la “quota rosa” delle donazioni. Le donne che hanno donato rappresentano il 44% sul totale, molto di più rispetto al 37% del 2016. Ad aumentare è anche l’ammontare complessivo di queste donazioni, si  passa, infatti, da 1,3 miliardi del 2016 a 2,5 miliardi di dollari registrati fino a metà ottobre.

I piccoli donatori – coloro che donano somme pari o inferiori a 200 $ – rappresentano il 22,4% del totale, un dato in forte crescita rispetto al 15,6% del 2016. I numeri delle loro donazioni fanno registrare nuovi record per entrambi gli schieramenti. Anche qui, però,  i Democratici con 1,7 miliardi di dollari raccolti battono i repubblicani fermi a 1 miliardo.

Ma i più ricchi continuano ad esercitare la loro influenza a colpi di grandi donazioni. La cifra stanziata dai primi 10 donatori è di 642 milioni di dollari, circa il 5% del totale. Sul mondo dei grandi donatori che sostiene Donald Trump è intervenuto, nel corso della diretta sui nostri social, Mattia Diletti che insegna Scienza della politica all’Università «La Sapienza» di Roma: “Andando a spulciare tra i settori e nello specifico tra i nomi dei grandi finanziatori, ci sono tanti amici del presidente Trump. Pensiamo al settore dei casinò. C’è un grandissimo magnate con base a Las Vegas che è il più grande donatore individuale della campagna di Trump. Altri “amici di Trump” si registrano nel “Real Estate” , ovvero, il settore degli investimenti immobiliari che lo sta sostenendo in larga parte. A volte è molto difficile vedere la separazione tra l’azione presidenziale di Trump e le dinamiche privatistiche e queste donazioni sembrano confermare questa idea: è soprattutto il mondo che ruota attorna a lui che si mobilita per sostenerlo a cui si aggiungono alcuni importanti settori che tradizionalmente aiutano i Repubblicani.”
Il riferimento al magnate dei casinò di Las Vegas, è a Sheldon Adelson, che insieme con sua moglie Miriam, un medico, ha donato 183 milioni di dollari ai Repubblicani, facendo segnare un altro piccolo record: questa è la somma più grande versata da una coppia in una singola elezione.

Sul 13% rappresentato dalle quote di autofinanziamento da parte dei candidati, pesa sicuramente, come già ricordato, la campagna miliardaria di Bloomberg. Stanno perdendo invece terreno i PAC tradizionali – il cui limite di contributo è di $ 5.000 – scendendo al 5% del totale rispetto al 9% del 2016. Su questo calo, pesa da un lato il mancato adeguamento dei limiti di contribuzione di questi comitati, fermi ormai da dieci anni, dall’altro i soldi provenienti dalle aziende sono considerati “tossici” da tantissimi nuovi candidati Democratici al Congresso che preferiscono compensare queste perdite con le piccole donazioni (e ci stanno riuscendo benissimo).

La (mancata) trasparenza dei finanziamenti elettorali in Italia

C’è da dire che se è possibile analizzare nel dettaglio i finanziamenti elettorali negli USA è grazie agli elevati standard di trasparenza che prevedono la pubblicazione sul web e l’aggiornamento costante dei movimenti finanziari di candidati e donatori. Tutto questo non accade in Italia dove la trasparenza dei finanziamenti elettorali sembra un optional: un sistema che prevede tempi lunghi per la rendicontazione delle spese e non garantisce minimamente l’accesso da parte di chiunque sia interessato, cittadino, giornalista e organizzazioni della società civile che svolgono il delicato compito di “cani da guardia” del potere. Per approfondire il sistema italiano leggi la nostra analisi su IRPI Media:

Finanziamenti alla politica: chi paga il conto?


I grafici, i dati e le stime di quest’articolo sono frutto di una rielaborazione del lavoro svolto dal
Center of Responsive Politics, il più importante gruppo di ricerca no-profit e indipendente americano che si occupa del monitoraggio del denaro in politica e dei suoi effetti sulle elezioni e sulle politiche pubbliche.