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2 Febbraio 2021

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I fondi di Google per il giornalismo possono minacciare il pluralismo

Le grandi società tecnologiche sono diventate il principale mecenate del giornalismo europeo. Ma c'è una trappola nei milioni di euro a sostegno dei mezzi d'informazione.

di Alexander Fanta e Ingo Dachwitz

Negli ultimi sette anni, Google ha speso più di 200 milioni di euro per sostenere il giornalismo europeo. I suoi generosi finanziamenti hanno contribuito a promuovere l’innovazione nelle case editrici. Google paga anche il conto per conferenze, borse di studio, corsi di formazione e ricerca sul giornalismo accademico. Ecco perché il gigante tecnologico è popolare tra gli editori.

L’aiuto di Google è arrivato in un momento in cui gli editori di notizie soffrono a causa del calo delle entrate pubblicitarie e delle vendite. La Commissione Europea ha riconosciuto la necessità di agire su questo fronte. A dicembre, ha annunciato la “News Initiative” per il finanziamento dei media e ha promesso milioni di euro di investimenti e ulteriori misure per rafforzare il pluralismo dei media.

Nel frattempo, i finanziamenti di Google negli ultimi anni hanno sostenuto progetti di innovazione nei mezzi di informazione in 30 paesi europei. I destinatari della Digital News Initiative (DNI) includono Der Spiegel e Frankfurter Allgemeine Zeitung in Germania, Agence France-Presse e Le Monde in Francia, Financial Times e Daily Telegraph nel Regno Unito.

Ma il sostegno di Google al giornalismo non è esente da interessi. Il suo aiuto finanziario ha contribuito a sostenere gli operatori storici nei mercati dei media europei contro i nuovi sfidanti. Il gigante digitale ha utilizzato la sua influenza con gli editori per promuovere i suoi obiettivi politici e i giornalisti hanno evidenziato il rischio di potenziale autocensura per non spaventare il nuovo mecenate dai cui fondi dipende la sopravvivenza delle testate per cui lavorano.

Queste sono le tre principali conclusioni del nostro studio sul rapporto del gigante della tecnologia con i media, “Google, the media patron”, pubblicato dalla fondazione Otto Brenner con l’aiuto della Confederazione sindacale tedesca (DGB).

Una protezione contro le “tasse Google”

Il sostegno finanziario di Google per gli editori risale al 2013. All’epoca, il gigante della ricerca sul web subiva pressioni  in Europa per condividere le entrate della sua attività di pubblicità online con i mezzi di informazione.

Mentre il governo francese si interrogava su una “tassa Google” sulla pubblicità online, Google si è mossa per prima. Ha promesso un fondo di 60 milioni di euro per gli editori in un accordo formale firmato da Eric Schmidt, allora CEO di Google, con l’allora presidente francese Francois Hollande.

Il fondo francese è diventato il modello per la iniziativa europea per le notizie digitali (DNI) di Google, che ha destinato un fondo di 150 milioni di euro a sostegno di progetti di innovazione tra il 2015 e il 2019.

Dei 645 progetti che abbiamo analizzato, abbiamo riscontrato che il 70% dei finanziamenti di Google sono andati a società di media commerciali. Solo il 9% è andato a testate non profit e del servizio pubblico. La metà dei media sovvenzionati esisteva da più di 20 anni, e la stragrande maggioranza dei fondi è stato destinato a Paesi dell’Europa occidentale.

Il fondo DNI ha aiutato le società di media a sviluppare software per il giornalismo basato dati e l’automazione delle redazioni, esplorare nuovi formati come la realtà virtuale o a sperimentare nuovi tipi di abbonamento.

Google usa la sua generosità per fare lobbying

Che i grandi attori siano stati favoriti non è un caso. Le decisioni sui finanziamenti DNI per i grandi progetti sono state prese da un consiglio composto da figure chiave di Google, esperti e dirigenti editoriali.

Mentre Google finanziava le principali società di media in tutta Europa, era ancora bloccato in un tiro alla fune con le associazioni di editori sull’obbligo di condividere con loro i ricavi pubblicitari di Google News.

La direttiva sul copyright dell’UE, che deve ancora essere recepita negli ordinamenti legislativi della maggior parte degli Stati membri, dovrebbe costringere Google a versare compensazioni economiche enormi agli editori.

Quando sono circolate le prime bozze della legge sul copyright, il gigante digitale ha utilizzato la mailing list degli editori beneficiari dei fondi DNI per fare pressioni contro le misure previste dalla direttiva europea. Allo stesso tempo, Google ha dato fondi a un nuovo gruppo chiamato European Innovative Media Publishers che si opponeva alla bozza di legge dell’UE, allo scopo di “aiutare i piccoli editori ad avere una voce”, come ha dichiarato la società.

Sebbene Google abbia perso la battaglia sui diritto d’autore accessori, ha deciso di non bloccare i finanziamenti alle società media consolidate. Nel 2019, allo scadere del fondo DNI in Europa, la società ha annunciato un impegno globale di 300 milioni di dollari nell’ambito della Google News Initiative.

A differenza del suo programma europeo, che non era legato all’interesse commerciale di Google, il nuovo programma globale incoraggia esplicitamente gli editori a utilizzare i servizi Google come “Abbonati con Google” e li paga anche direttamente per creare formati di notizie su YouTube.

I dirigenti dei media tedeschi che abbiamo intervistato nell’ambito del nostro studio hanno espresso scetticismo sull’utilizzo del servizio Google per gestire gli abbonamenti dei lettori. “Cerchiamo di non fare nulla che implichi diventare parte del prodotto di qualcun altro”, ci ha detto un manager.

Google’s Showcase, una ricompensa per i grandi editori

Mentre alcuni editori sono riluttanti ad aumentare la loro dipendenza tecnologica dai servizi di Google, la maggior parte trova difficile resistere al denaro facile del gigante tecnologico.

All’inizio del 2020, mentre la pandemia stava causando gravi perdite pubblicitarie agli editori, Google ha annunciato un’altra iniziativa. Il CEO Sundar Pichai ha promesso un miliardo di dollari per pagare gli editori interessati a “creare e curare contenuti di alta qualità” per un nuovo prodotto, Google News Showcase.

Pochi giorni fa, Google ha raggiunto un accordo con gli editori francesi per pagare il riutilizzo delle preview dei loro contenuti. Ciò ha lo scopo di rispettare gli obblighi previsti dai diritti connessi della direttiva sul copyright, ma Google afferma che l’accordo copre anche la partecipazione a News Showcase.

L’annuncio francese è un possibile modello per il futuro, in cui Google rende labile il confine tra “partnership” volontarie con gli editori e obblighi legali derivanti dalla direttiva sul copyright. Secondo fonti di settore, i contratti per Showcase stabiliscono che l’azienda ha il diritto di “risolvere il contratto se l’editore presenta un reclamo legale o una richiesta di risarcimento a Google”.

Sebbene le autorità statunitensi abbiano avviato un’importante indagine antitrust contro Google e l’UE abbia fatto partire indagini preliminari sul predominio pubblicitario di Google, né Google né la maggior parte degli editori garantiscono la piena trasparenza sui termini del loro contratto.

L’iniziativa della Commissione è certamente lodevole perché porta più pluralismo e diversità nel panorama dei mezzi d’informazione: resta il fatto che il finanziamento e la crescente partecipazione tecnologica di Google nella distribuzione e monetizzazione delle notizie rimane in gran parte senza controllo.

Google ha già subito critiche e pressioni per la questione della protezione dei dati nella pubblicità, sulla diffusione delle teorie del complotto, dell’odio on line e della disinformazione su YouTube, così come per i crescenti legami con militari e intelligence degli Stati Uniti.

Mai come oggi i mezzi d’informazione sono indispensabili per indagare sul potere delle “Big Tech”, invece di esserne i beneficiari. È tempo, per i giornalisti, i ricercatori e i legislatori di creare un Google Alert su “giornalismo e Big Tech”. 

Articolo originariamente apparso su Vox Europ