Lucia P.
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Lorena F.
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Silvia N.
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I PFAS sono sostanze chimiche utilizzate in numerosi prodotti di uso quotidiano, come cappotti impermeabili, pentole, nonché nei frigoriferi e inalatori per l’asma. Questa classe di 10mila sostanze artificiali ha gravi implicazioni per la salute umana, l’ambiente e la crisi climatica. Resistenti e persistenti, sono noti come “forever chemicals”, inquinanti eterni.
L’inchiesta ha rivelato che molte delle argomentazioni dei lobbisti erano fuorvianti o false: i lobbisti hanno cercato di sminuire le prove scientifiche sui rischi dei PFAS, enfatizzando la loro presunta “indispensabilità” nei processi produttivi, gonfiando i costi delle alternative e paventando gravi perdite di posti di lavoro. L’obiettivo di questa campagna era indebolire la proposta di divieto sui PFAS, promossa a febbraio 2023 da cinque Paesi europei e ora in discussione a livello comunitario.
Il problema dei PFAS tocca da vicino l’Italia, uno dei Paesi più colpiti dalla contaminazione. Un’analisi di Greenpeace Italia ha rilevato che l’acqua potabile di tutte le regioni italiane presenta livelli significativi di queste sostanze, con picchi preoccupanti in Liguria, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta e Veneto.
Se un settore industriale tanto potente riesce a condurre campagne di lobbying spregiudicate nelle istituzioni europee, dove esistono delle norme (seppur migliorabili) per limitare i danni del lobbying occulto, pensate cosa può fare in un Paese come il nostro, dove non esiste alcuna legge sul lobbying. Sarà un caso che l’Italia, nel recepire la legge europea che pone dei limiti ai PFAS nelle acque potabili, a differenza di altri Paesi europei come Germania, Svezia e Danimarca, ha scelto di non adottare valori limite più restrittivi?
Le decisioni politiche non possono essere ostaggio di poche e potenti lobby: è necessaria una legge che assicuri processi decisionali trasparenti e rappresentativi degli interessi della collettività.