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30 Novembre 2020

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Tre proposte di legge per fare luce sul lobbying in Italia: saranno davvero efficaci?

Da anni chiediamo che l’Italia approvi finalmente una legge che regolamenti l’attività di lobbying e attualmente alla Camera sono tre le proposte in discussione. Ma ogni Paese ha le sue ragioni per regolare il lobbying (in modi diversi). La quinta ed ultima puntata di “Come cambia il lobbismo? Un viaggio nella rappresentanza degli interessi, tra vecchi riti e nuove prospettive di partecipazione”

di The Good Lobby

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  • Lucia a.

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    13 giorni fa

Quali obiettivi dovrebbe porsi una normativa sul lobbying davvero efficace? E le tre proposte in discussione alla Camera riuscirebbero a raggiungerli? O potrebbero essere migliorate prendendo come esempio quanto è stato fatto il altri Paesi?

Ne abbiamo discusso, trattando i diversi aspetti del lobbying e della trasparenza dei processi decisionali, nell’intervista a puntate “Come cambia il lobbismo? Un viaggio nella rappresentanza degli interessi, tra vecchi riti e nuove prospettive di partecipazione” rilasciata in esclusiva sul nostro blog da quattro esperti del mondo accademico internazionale: Michele Crepaz dell’Università di Galway, Fabrizio De Francesco dell’Università di Glasgow, Raj Chari del Trinity College di Dublino e Philipp Trein dell’Università di Ginevra.

Ecco cosa ci hanno risposto.


Gli obiettivi di una normativa efficace

L’obiettivo principale della regolamentazione del lobbismo è rendere chiaro chi siano gli attori privati che cercano di influenzare i funzionari pubblici e su quali argomenti si concentrino queste attività, promuovendo in tal modo la trasparenza e la responsabilità nel processo politico. La nostra ricerca ha dimostrato che gli scandali, le crisi di un Paese, fungono da  catalizzatore per l’adozione di tali regole. Tali eventi infatti spingono i governi a inserire l’anticorruzione e la trasparenza nella propria agenda politica. 

Oltre a questo, la regolamentazione del lobbismo può avere altri obiettivi, come aumentare la fiducia politica, sostenere la partecipazione, creare parità di condizioni per i gruppi di interesse. In molti anni di lavoro abbiamo notato che questi obiettivi sono raramente inclusi nelle proposte legislative anche se l’allineamento tra disposizioni e obiettivi politici è un principio chiave del processo decisionale. Diamo dunque merito al legislatore italiano per averli inclusi nel testo. Attualmente questi obiettivi sono:

  1. Garantire un’ampia fonte di informazioni per i responsabili delle decisioni
  2. Garantire la trasparenza nel processo decisionale
  3. Migliorare i risultati delle politiche
  4. Garantire che le attività di lobbismo siano tracciabili (chi fa pressioni su chi, per conto di chi)
  5. Migliorare la partecipazione dei gruppi di interesse e dei cittadini
  6. Prevenire la corruzione

Sono tutti validi obiettivi. Tuttavia, difficilmente possono essere raggiunti con la sola regolamentazione del lobbismo. Ad esempio, per raggiungere il primo obiettivo, lo Stato potrebbe pensare di introdurre regole sulla trasparenza della governance societaria.

Abbiamo discusso nelle precedenti puntate di questa intervista di quali altri strumenti siano necessari per raggiungere l’obiettivo numero 5. Mentre per quanto riguarda l’obiettivo 6 è necessario mettere in atto un ambiente normativo complesso, con leggi e istituzioni diverse che operano in maniera coordinata per prevenire la corruzione. Le norme sul lobbying (per quanto riguarda gli obiettivi) dovrebbero in sostanza essere considerate come un pezzo del puzzle mantenendo una visione globale sulla trasparenza di tutta la  dimensione pubblica.

Pugno duro o misure morbide?

È un’ottima domanda a cui, in effetti, abbiamo sempre evitato di rispondere come osservatori imparziali. Ogni Paese del mondo ha le sue ragioni per voler regolamentare l’attività di lobbying (in modi diversi). Il nostro lavoro ha dimostrato che ci sono tre livelli di regolamentazione, bassa, media e alta. Ma siamo sempre stati chiari sul fatto che alcuni Stati possono voler introdurre regolamenti di livello alto o medio – come negli Stati Uniti (alto), in Canada (medio) e in Irlanda (medio) – se, per esempio, ritengono che ci siano così tanti problemi di trasparenza al loro interno da voler usare il pugno duro  per “ripulire la politica”. 

In alternativa, come prima implementazione di una politica, alcuni stati perseguono una regolamentazione di livello basso, come ad esempio nel Regno Unito, con la possibilità di muoversi successivamente verso un livello medio o alto se non saranno stati raggiunti gli standard di trasparenza desiderati. Detto questo, la legge britannica non è probabilmente mai stata indicata dai commentatori come una ‘best practice’ per qualsiasi categoria, ma, adottare una regolamentazione di basso livello può essere la modalità preferita per valutare il funzionamento di una politica, soprattutto se si dispone di  forti regole di trasparenza, come il FOI (Freedom of Information).

Lo studio accademico delle normative in materia di lobbying dovrebbe prudentemente evitare di affermare con forza che alcuni Stati offrono “migliori pratiche” rispetto ad altri perché la scelta può essere dovuta a ragioni specifiche. Detto questo, abbiamo partecipato (in qualità di relatori esterni) a conferenze e riunioni organizzate dalle autorità europee di lobbying per diffondere le migliori pratiche e pensiamo che iniziative come queste siano la spina dorsale del buon governo per quanto riguarda la  trasparenza dell’attività di lobbying e dovrebbero essere perseguite con maggiore tenacia. 

L’efficacia delle proposte di legge italiane

Premettendo che è molto  difficile giudicare l’efficacia di una proposta legislativa, valuteremo i testi comparandoli con le  migliori pratiche internazionali. Le tre proposte si rivolgono a diverse categorie di decisori pubblici. Come obiettivo minimo, la nuova legislazione dovrebbe fare luce sul rapporto tra lobbisti e i parlamentari, i membri dei ministeri e delle autorità indipendenti mentre attualmente, il sistema di regolamentazione italiano è frammentato, con solo alcune istituzioni regionali e nazionali che dispongono di un registro della trasparenza. Crediamo sia una buona idea superare la frammentazione della regolamentazione sul lobbismo a livello regionale. Prima di tutto, perché ciò agevolerebbe il controllo pubblico da parte dei media, delle ONG, dei lobbisti e dei politici stessi. In secondo luogo, perché faciliterebbe la registrazione per i lobbisti stessi, un fattore che potrebbe  tradursi in un maggiore sostegno e legittimazione per il regolamento.

Anche la definizione di lobbying e lobbista è rilevante. Sotto questo aspetto le tre proposte sembrano optare per  una definizione di lobbista quale gruppo di interesse particolare o lobbista professionista. Teoricamente, sarebbe meglio avere una definizione più ampia di lobbista, che includa qualsiasi soggetto che si rivolge a un legislatore per influenzare le sue decisioni. Tale definizione generale dovrebbe includere anche le “organizzazioni di interesse pubblico” ed è stata già adottata in altri paesi come l’Irlanda. Spesso questi gruppi vengono esclusi, ritenendo i maggiori obblighi di informazione e di trasparenza derivanti dalla normativa, un possibile ostacolo alla loro partecipazione. L’esperienza internazionale mostra tuttavia che non è così, quindi non vediamo perché questi soggetti dovrebbero essere trattati in modo diverso. La distinzione tra gruppi di interesse particolari e generali potrebbe potenzialmente creare una discriminazione tra gruppi di interesse “buoni” e “cattivi” con possibili conseguenze sul sostegno alla legge da parte di categorie di gruppi di interesse che rientrano nel suo ambito di applicazione. Inoltre, la definizione ristretta potrebbe creare delle scappatoie per chi vuole rimanere inosservato. Questo è invece meno probabile prevedendo una definizione dell’attività di lobbying ampia e comprensiva che includa tutte le categorie di gruppi di interesse.  

Conta anche l’aspetto gestionale: chi si occuperà del registro? Tra le tre istituzioni individuate  supportiamo l’opzione dell’autorità anticorruzione. La ricerca suggerisce che le autorità indipendenti, se adeguatamente dotate di personale e risorse, si comportano meglio nella gestione dei registri. Il Canada e l’Irlanda ne sono un buon esempio. Gli organismi preposti all’applicazione dovrebbero avere il potere di controllare, indagare e sanzionare, ma anche di suggerire revisioni della regolamentazione sulla base della loro esperienza di applicazione e delle migliori pratiche. Le proposte affrontano questi aspetti solo parzialmente, con un’attenzione concentrata  in particolare alla manutenzione dei registri, la verifica dei dati e sulle sanzioni. Ad esempio, il potere di raccomandare una revisione della legislazione ( ogni 5 anni) potrebbe essere esplicitamente dichiarato in corrispondenza della relazione annuale al Parlamento.

È positivo osservare che tutte e tre le proposte richiedono al lobbista di indicare lo scopo dell’incontro con i responsabili politici, l’interesse rappresentato e se l’attività di lobbismo è commissionata da un altro soggetto. Tuttavia, riteniamo che i requisiti di trasparenza potrebbero andare oltre, chiedendo anche, ad esempio, la divulgazione dei casi di revolving door (una proposta suggerisce la divulgazione di potenziali conflitti di interessi e accogliamo con favore questa disposizione). Sosteniamo anche l’introduzione di misure per la divulgazione delle risorse finanziare impiegate nell’attività di lobbying. La convinzione che i soldi comprino i politici sta perdendo terreno e non ci sono nemmeno prove (contrariamente a quanto si creda) che la divulgazione del giro d’affari del lobbying produca scetticismo nei confronti di questa attività. A lungo termine, pensiamo che la trasparenza finanziaria abituerà l’opinione pubblica all’idea che il l’attività di lobbying costa. 

Siamo d’accordo con l’introduzione del codice di condotta. Che sia formulato e fatto rispettare dall’autorità di controllo o dalle stesse agenzie di lobbying è una questione di preferenze. Mentre i codici di condotta applicati a livello centrale garantiscono uno standard minimo di comportamento, i codici dell’organizzazione e dell’azienda incentivano le organizzazioni registrate a professionalizzare l’attività di lobbying interna. 

Accogliamo con favore il suggerimento di combinare i registri del lobbismo con la pubblicazione delle agende degli incontri ministeriali. ‘It needs two to lobby’, il lobbying si fa in due (decisore e lobbista ndr) e crediamo che la trasparenza dal punto di vista del decisore sia altrettanto importante (e spesso trascurata). Soprattutto, accogliamo con favore le disposizioni che collegano l’iscrizione nel registro alle procedure di consultazione pubblica.

La trasparenza va di pari passo con la partecipazione così come  la vista e la voce funzionano bene insieme. Incoraggiamo quindi il legislatore ad ampliare questa parte della legge, delineando con precisione il modo in cui i gruppi di interesse potranno esprimere le proprie richieste, integrandola anche con le procedura di “notifica e commento” che dovrebbero essere adottate. Nel complesso, le tre proposte sono esaustive e regolano i diritti e i doveri dei lobbisti, nonché gli standard di condotta e le sanzioni.

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