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26 Luglio 2020

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Accordo sul Recovery Plan: il prezzo lo paga la società civile di tutta l’UE

Il bilancio pluriennale europeo appena adottato non prevede alcun incremento di fondi per il non profit

di Alberto Alemanno e Federico Anghelé

Lo abbiamo sentito dire da tutti: associazioni, gruppi spontanei, organizzazioni non governative, la società civile insomma, ha giocato un ruolo importantissimo in questi mesi di pandemia, in Italia e in tutta Europa. Gli esempi sono moltissimi, dall’assistenza sanitaria supplementare in quei Paesi in cui gli ospedali erano in ginocchio per i troppi ricoveri dovuti al Covid, all’aiuto prestato agli anziani, principali vittime dell’epidemia ma anche della quarantena, che li ha lasciati soli e vulnerabili, fino alle azioni di monitoraggio sui fondi impiegati nell’emergenza affinché non venissero sprecati finendo nelle mani sbagliate.

Eppure la consapevolezza finalmente acquisita che il “terzo settore” svolga una funzione essenziale nelle nostre comunità disgregate, non è stata compensata da un’adeguata attenzione nel Bilancio pluriennale appena adottato dall’Unione europea. L’accordo sul Recovery Plan raggiunto dai capi di Stato e di governo dei Paesi della UE ha scongiurato il taglio di quasi il 25% dei fondi destinati al terzo settore europeo inizialmente previsto dalla Commissione.

Ma non ha in alcun modo preso in considerazione la risoluzione del Parlamento di Strasburgo che aveva chiesto di triplicare le risorse destinate al Programma “Rights and Values”, strumento fondamentale per aiutare le organizzazioni della società civile di tutta Europa.

Non solo contravvenendo alla retorica sull’importanza di un attore cruciale per lo sviluppo e la tenuta sociale del nostro continente, ma rischiando di mettere in seria difficoltà quello stesso settore che in alcuni Paesi svolge un ruolo sempre più determinante nell’arginare le politiche antidemocratiche e xenofobe attuate da governi che non verranno in alcun modo sanzionati per le ripetute violazioni dei diritti civili e politici. L’accordo raggiunto a Bruxelles, infatti, non prevede che la concessione degli aiuti europei sia subordinata al rispetto di regole e valori “democratici” che dovrebbero essere da tutti condivisi nell’Europa unita.

A fronte di un ruolo sempre più centrale della società civile organizzata che assolverà funzioni-chiave dismesse dagli stessi Stati e dalla UE, il bilancio europeo non ha tuttavia previsto alcun fondo aggiuntivo che potrebbe ad esempio aiutare quelle organizzazioni non profit che in Polonia, in Ungheria ma anche in altri paesi europei, incluso il nostro, si battono per difendere i diritti delle minoranze.

Saranno sufficienti le risorse per chi fa giornalismo indipendente e denuncia i rapporti opachi tra politica e affari, o mette magari in evidenza i conflitti di interessi della classe politica (è successo di recente nella Repubblica Ceca, il cui primo ministro Andrej Babis controlla aziende in settori che potrebbero enormemente beneficiare del Recovery Fund europeo)? E chi difenderà il cosiddetto spazio civico – la possibilità cioè che la società civile ha di esprimersi, di esercitare il suo primario ruolo di “contropotere”, di cane da guardia dei governi – che in molti Paesi, soprattutto dell’Europa centrale e orientale tende sempre più a contrarsi, come puntualmente denunciato da Civicus nei suoi report annuali?

Ma soprattutto, anche qualora l’emergenza sanitaria dovesse rientrare, il serio rischio è che migliaia di organizzazioni della società civile vedano sfumare la possibilità di continuare a sostenersi grazie ai fondi europei in un periodo che è già gravato dalla contrazione delle donazioni e delle opportunità progettuali a causa della crisi economica in corso che si farà ancora più pesante nei prossimi mesi.

E invece la crisi economica da una parte e il Recovery Fund dall’altra renderebbero ancor più essenziale poter contare su organizzazioni in buona salute, in grado di svolgere il loro ruolo senza ristrettezze e timori sul loro futuro finanziario. Ci sarà infatti un enorme bisogno di chi possa prendersi cura di tutte quelle categorie marginalizzate che già stanno pagando con particolare severità le conseguenze della crisi – anziani, migranti, senzatetto, persone affette da patologie croniche, famiglie a basso reddito, individui a bassa scolarizzazione.

Ma non meno importanti saranno i watchdog in grado di monitorare l’assegnazione dei consistenti trasferimenti finanziari, sia in forma di donazioni sia di prestiti agevolati, in arrivo da Bruxelles di cui beneficeranno gli Stati più colpiti dalla pandemia, in primis l’Italia, che dovranno promuovere la massima trasparenza nella gestione dei fondi e scongiurare che essi vengano dispersi in corruzione o che alimentino clientele politico-affaristiche.

Se le premesse sono ben poco incoraggianti, l’augurio ora è che i dettagli del nuovo budget europeo pluriennale vengano affrontati nel corso del trilogo, cioè quel negoziato informale che vede le tre istituzioni europee discutere tra loro per arrivare a una decisione effettiva.

In particolare, è auspicabile che il Parlamento europeo possa fare molto per rimarcare l’importanza della società civile nel progresso delle comunità nazionali e transnazionali e per evidenziare l’enorme contraddizione cui la UE si sta esponendo: da una parte celebra il ruolo della società civile organizzata di cui ha sempre più bisogno per difendere il rispetto dello Stato di diritto in assenza di altri meccanismi ormai abbandonati quale prezzo per far passare l’accordo appena siglato, dall’altra le destina fondi limitati per sopravvivere.

Affinché il Parlamento si attivi, serve una mobilitazione da parte di tutti noi, non solo degli operatori del terzo settore, ma anche di tutti quelli che ne beneficiano o che ritengono che la società civile sia un contropotere essenziale di cui tutti abbiamo bisogno e che che per questo le vadano assegnate risorse adeguate. Ben altra cosa rispetto ai tagli previsti dalla Commissione e le limitate concessioni del Consiglio europeo.