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10 Maggio 2021

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L’Ue vincola il Registro della trasparenza ma ci aspettavamo di meglio

di Fabio Rotondo

Ci sono voluti cinque anni di trattative tra la Commissione, il Parlamento e il Consiglio per introdurre il Registro della trasparenza obbligatorio a livello dell’Unione Europea, ma alla fine con 645 sì, 49 astensioni e 5 contrari il Registro è diventato realtà. L’Accordo Interistituzionale vincola i lobbisti e i rappresentanti del Parlamento e della Commissione a registrare i propri incontri mentre prima questo avveniva su base volontaria. Si tratta però di una vittoria monca perché sono ancora molte le scappatoie per i lobbisti; in primis il fatto che il Registro rimanga facoltativo per il Consiglio e le rappresentanze permanenti. 

 

Il lungo percorso pre-approvazione

 

Nel 2014 il Parlamento europeo chiese alla Commissione di presentare una proposta di legge per introdurre un registro della trasparenza comune alle tre istituzioni entro la fine del 2016. L’allora Commissione Juncker decise di presentare la proposta sotto forma di Accordo Interistituzionale per evitare di modificare i Trattati dell’Unione, per cui il Registro non era previsto, e di allungare ulteriormente i tempi. Per preparare la proposta sul registro obbligatorio, la Commissione ha avviato anche una consultazione pubblica dal 1° marzo al 1° giugno 2016 ricevendo 1758 contributi (975 da singoli cittadini e 783 da varie organizzazioni). 

 

Il 28 settembre 2016 la Commissione presentò la proposta al Parlamento: un Accordo Interistituzionale tra Commissione, Parlamento e Consiglio, ma esteso anche alle altre istituzioni e organi dell’Unione. Da questo momento iniziarono i negoziati tra le tre principali istituzioni dove il tema principale di discussione fu proprio l’obbligatorietà della registrazione a cui molti europarlamentari e lo stesso Consiglio si sono più volte opposti. Dopo qualche mese di interruzione, a marzo 2020 la Conferenza dei presidenti del Parlamento ha deciso di riavviare le trattative e finalmente ad aprile 2021 si è giunti alla votazione finale. 

 

Tuttavia, la trasparenza della proposta approvata è stata precedentemente indebolita con una votazione segreta e a porte chiuse dalla Commissione parlamentare Affari Costituzionali (AFCO). Una situazione paradossale visto che si stava votando a favore della trasparenza.  

 

Quasi vicini alla trasparenza

 

L’approvazione dell’obbligatorietà del Registro è un passo importante verso la trasparenza ma, attenzione, non deve assolutamente essere l’ultimo. Questa è infatti una mezza vittoria per la società civile che richiede un accesso equo e controllato alle decisioni pubbliche. Società civile che, come dimostrano i dati, è ampiamente surclassata  dalle multinazionali (solo a Bruxelles sono oltre 500 con una propria sede) e dai lobbisti professionisti che nella capitale europea sono la maggioranza. A Bruxelles i lobbisti, in totale, sono oltre 30.000, facendone la capitale mondiale del lobbying dopo Washington. 

 

La vittoria rimane amara perché gli escamotage per aggirare il registro sono ancora molti. Per esempio le chiese e le associazioni o confederazioni religiose, come la Commissione delle conferenze episcopali della Comunità Europea (Comece) sono esentate dall’iscrizione nel Registro. Questa esenzione però non vale per gli uffici e le organizzazioni create dalle chiese appositamente per rappresentarle nelle istituzioni europee, insomma una zona grigia in cui si può abilmente farla franca. Oppure, grazie ad alcuni emendamenti, soltanto i presidenti di commissione, i relatori (coloro che redigono il testo, ad esempio una modifica di una proposta legislativa, che viene votato in commissione parlamentare) e relatori ombra (coloro che seguono l’andamento della relazione in discussione, sono responsabili del tema in questione all’interno di un gruppo politico) hanno l’obbligo di rendere pubblici gli incontri con i portatori di interessi, gli altri europarlamentari sono solo incoraggiati a farlo e non hanno quindi nessun vincolo. Lo stesso vale per il personale di livello inferiore, come i consulenti del Parlamento e della Commissione. A proposito del Consiglio, invece, l’obbligo di registrazione non include le rappresentanze permanenti che rappresentano a Bruxelles i governi degli Stati membri dove la pratica del lobbismo è molto diffusa. Tuttavia, alcuni Paesi, tra cui l’Italia (grazie alle pressioni di The Good Lobby), hanno deciso di rendere trasparenti gli incontri delle rappresentanze permanenti.  

 

L’Italia invece è ben lontana

 

Nonostante molti europarlamentari italiani abbiano festeggiato l’approvazione del Registro obbligatorio cercando di prendersi i meriti, a casa propria invece gli stessi partiti fanno orecchie da mercante. Le proposte di legge del Partito Democratico (Marianna Madia), del Movimento 5 Stelle (Francesco Silvestri) e di Italia Viva (Silvia Fregolent) sono ancora ferme in Commissione Affari Costituzionali e il parlamento, così come i ministeri, rimangono privi di regole e agiscono nella totale oscurità. Perché questo entusiasmo per il risultato europeo non arriva in Italia?

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