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12 Luglio 2023

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PNRR, il progetto di rinaturazione del Po si è impantanato ancora prima di iniziare

Abbiamo un bisogno urgente di fiumi sicuri e di "nature based solutions" in grado di renderli resilienti al cambiamento climatico. Ma il più grosso intervento del Pnrr dedicato al Po è sommerso da opacità e conflitti.

di Stefano Nicoli, Chiara Spallino

Questa è la nona puntata dell’inchiesta “Le mani sulla Ripartenza” sul conflitti di interessi e le opacità del Pnrr in Italia, organizzata in collaborazione fra IrpiMedia e The Good Lobby.
Il progetto è finanziato dai cittadini e dalle cittadine. Vuoi partecipare? Dona ora >>


 

<<Io a giugno compio gli anni, e anche la mia compagna. Mi ricordo di quando per raccogliere un mazzo di fiori da regalarle mi bastava passeggiare lungo l’argine. Ora è difficile incontrare prati selvatici da queste parti>>. Georg, guida turistica, teatrante, educatore e proprietario del battello La Nena, parla osservando i colori del Po in una luminosa mattina di giugno. Georg è tedesco, è arrivato a Ferrara negli anni ‘90 e se ne è innamorato. Come molti altri, è stato testimone dei cambiamenti subiti dal fiume nel corso del tempo ma, nonostante ci abiti sopra e dal fiume dipenda anche il suo lavoro, ha sentito parlare solo di sfuggita dell’imponente progetto previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per la rinaturazione del bacino del Po.

Inserito al punto 3.3 della misura M2C4 “Tutela del territorio e della risorsa idrica” e parte della missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica”, questo progetto promette 357 milioni di euro per la biodiversità, il ripristino degli habitat e la sicurezza dei centri abitati che si trovano lungo gli argini. Gli interventi saranno portati avanti dall’Agenzia interregionale per il fiume Po (Aipo) con l’Autorità di bacino distrettuale del fiume Po (Adbpo) e le Regioni Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, e toccheranno 11 Province e 106 Comuni.

Il progetto dovrebbe rispondere a problemi attuali: «L’eccessiva canalizzazione dell’alveo, l’inquinamento delle acque, il consumo di suolo, le escavazioni nel letto del fiume – si legge nel testo del Pnrr – hanno compromesso parte delle caratteristiche del fiume e aumentato il rischio idrogeologico e la frammentazione degli habitat naturali». La canalizzazione, in particolare, costringe i fiumi tra argini artificiali che impediscono alle acque di esondare, se non in maniera violenta. Per questo ci si propone di rendere il Po più sicuro attraverso un processo di rinaturazione, ossia di ripristino degli habitat naturali. Lungo i grandi fiumi, rinaturare significa, a seconda della zona, riaprire aree laterali in cui il fiume possa espandersi, favorire la diffusione di specie autoctone, limitare il prelievo di ghiaia, inserire nuova vegetazione. «In condizioni naturali, i fiumi cambiano aspetto continuamente. Nei secoli noi umani – ama ricordare Georg a chi visita con lui il Po ferrarese – abbiamo costruito vicino agli argini, ma l’acqua ha bisogno di spazio».

Nonostante l’urgenza del tema, il progetto previsto dal Pnrr sembra arrancare, lontano dai riflettori della cronaca e dalla percezione delle persone. La trasparenza sull’avanzamento delle azioni è scarsa, mentre a livello locale si moltiplicano le critiche da parte di ambientalisti e amministratori, che hanno espresso più volte insoddisfazione riguardo al contenuto del progetto e alle modalità scelte per condividerlo con la popolazione. IrpiMedia ha provato a ricostruire il percorso accidentato che ha portato all’attuale piano di rinaturazione e alla definizione del suo budget, raccogliendo al contempo le voci di chi, come Georg, vive il Po ogni giorno.

 

Dietro le quinte 

Ci troviamo innanzitutto di fronte a un’eccezione: l’azione per il Po è infatti l’unico grande investimento del Pnrr destinato alla biodiversità, se si esclude un’azione di tutela degli ecosistemi marini. Il fatto che almeno questa proposta sia stata inclusa è una particolarità, anche perchè il piano per la rinaturazione del Po è nato grazie a un’alleanza inedita: quella tra Wwf Italia e l’Associazione nazionale estrattori lapidei ed affini (Anepla). Anepla, affiliata a Confindustria, riunisce le aziende che gestiscono cave di ghiaia e sabbia, prelevando materiale anche dal letto dei fiumi. Si tratta di un settore che, nonostante le innovazioni degli ultimi anni, in Italia viene associato soprattutto al suo grande impatto sull’ambiente.

Nello schema progettuale presentato da Wwf e Anepla nel 2021 si parlava di «37 aree da rinaturalizzare lungo il tratto medio padano più 7 sul Delta del Po». All’interno dei 357 milioni per la realizzazione delle opere erano previsti 3.660.000 euro per la progettazione partecipata (Processi partecipati – comunicazione e 15 tecnici facilitatori x 5 anni) e 6.310.815,88 euro sugli studi di monitoraggio. La versione del progetto approvata dal Governo prevede invece 56 aree di intervento, arrivando ad includere anche il Po Piemontese, ma i fondi totali rimangono, stranamente, gli stessi. Nella sezione dedicata al budget dell’attuale Programma d’azione, i 357 milioni sembrano essere suddivisi unicamente tra gli interventi idraulico-morfologici e quelli forestali o di rinaturazione, anche se in altre parti del documento si cita esplicitamente la necessità di avviare processi partecipativi e comunicativi.

Un altro cambiamento si è verificato all’inizio del 2022. A sorpresa, dal gruppo di lavoro sono scomparsi i proponenti: Anepla e Wwf. Dell’esclusione dei due soggetti non è facile trovare traccia, perché sono stati ripetutamente citati sui media locali ed erano presenti nell’Accordo per l’attuazione della misura “Rinaturazione dell’Area del Po” firmato nel novembre 2021 tra i partecipanti al progetto. Eppure, IrpiMedia ha verificato che nel febbraio 2022 veniva diffuso un Atto aggiuntivo in cui la Cabina di Regia decideva di «limitare la sottoscrizione del Protocollo d’Intesa solo alle Amministrazioni pubbliche in modo che il livello strategico e di definizione di obiettivi e finalità rimanga prerogativa dei decisori pubblici». Nell’Atto vengono richiamati il Codice dei contratti e altri riferimenti normativi, prefigurando il rischio di conflitti di interessi. A un primo sguardo, sembra allora che la Cabina di Regia abbia corretto il tiro dopo un errore di valutazione, preferendo escludere dall’intesa Anepla e Wwf per poi coinvolgere questi soggetti nelle fasi operative del progetto. Secondo Andrea Agapito Ludovici, Responsabile Area Fiumi di Wwf Italia, il ragionamento sarebbe valido per quanto riguarda le aziende rappresentate da Anepla, ma non per Wwf. «Credo che le motivazioni siano state altre – ha commentato Agapito – prima fra tutti non avere due soggetti esterni che avrebbero potuto creare problemi. Non credo quindi che verremo “ripescati”».

Intanto, il progetto è rimasto nelle mani di Aipo, con il ruolo di stazione appaltante. Aipo però è stata recentemente travolta da uno scandalo: all’inizio del 2023 l’ex direttore Meuccio Berselli – a capo di Aipo dal luglio 2022 – e altre quattro persone sono state indagate dopo il ritrovamento di borse e buste piene di denaro in abitazioni private e negli uffici di Parma, Reggio Emilia e Cremona. «Per gli investigatori sarebbero diversi gli episodi di corruzione – si leggeva il 3 febbraio 2022 su Il resto del Carlino – che coinvolgono i vertici di Aipo e una ditta edile, che sarebbe stata favorita per quanto riguarda affidamenti diretti e appalti su lavori inerenti alla pulizia degli argini del Po, al disboscamento per migliorare lo scorrere del fiume e a interventi di cementificazione». Nonostante questo, secondo dati diffusi dalla Commissione europea, Aipo si posiziona al ventiduesimo posto nella lista dei 100 maggiori beneficiari del Pnrr in Italia, con un contributo totale di 465.442.703 euro.

Attualmente, è difficile reperire informazioni sullo stato di avanzamento dei lavori e sull’utilizzo dei fondi, come accade purtroppo per molte linee d’azione del Pnrr. Dopo qualche chiamata a vuoto tra Georg e i suoi contatti, riusciamo a raccogliere il punto di vista di Gianluca Zanichelli, Direttore vicario di Aipo. «I fondi recepiti ad oggi da Aipo – spiega a IrpiMedia – corrispondono al 20% dell’importo complessivo del finanziamento» e riguardano, per ora, «l’intervento di diaframmatura degli argini compresi nel progetto complessivo». Questo intervento fa effettivamente parte delle azioni previste dal Pnrr sul Po e affidate ad Aipo, ma non riguarda la rinaturazione: si tratta infatti di operazioni finalizzate a limitare le infiltrazioni lungo gli argini che costeggiano i centri abitati. Sulla rinaturazione ci troviamo più indietro, al livello del Progetto di Fattibilità Tecnico-Economica delle opere pubbliche (Pfte). Per questo alcune azioni potrebbero cambiare: «Si valuteranno gli effetti dei vari interventi – dice Zanichelli – soprattutto dal punto di vista morfologico e sotto il profilo della sicurezza idraulica. Pertanto, alcuni interventi potrebbero essere rimodulati nel caso in cui manifestassero criticità».

Anche la timeline disponibile sul portale ItaliaDomani non fornisce dettagli utili al monitoraggio. Si legge solo che per giugno 2023 ci si aspettava l’entrata in vigore della normativa di riferimento, mentre per giugno 2024 si prevede la «riduzione dell’artificialità» dei primi 13 chilometri di fiume. I lavori dovrebbero chiudersi nel 2026. A fine 2022, Aipo e Adbpo avevano anticipato nei loro comunicati che avrebbero cominciato «a coinvolgere il territorio a partire da aprile 2023» e che «sul sito web di Aipo sarebbe stata predisposta una apposita sezione con lo scopo di fornire le indicazioni richieste circa l’avanzamento della realizzazione degli interventi». Sui portali di Aipo e Adbpo, però, tutto sembra essersi fermato a dicembre 2022, con gli ultimi aggiornamenti e una serie di incontri di consultazione con le comunità locali.

 

Governare il malcontento 

Proprio attorno a questi incontri è montato il malcontento di ambientalisti e amministratori. «Purtroppo, dopo una prima fase dove Wwf e Anepla sono state coinvolte nella definizione di dettaglio della proposta – ha raccontato a IrpiMedia Agapito Ludovici di Wwf Italia – si è interrotto qualsiasi reale processo di partecipazione. Per ora sono stati svolti solo alcuni incontri (conclusi a dicembre 2022, nda) da parte dell’Autorità di bacino per illustrare il Piano d’azione approvato, senza alcuna reale possibilità di coinvolgimento degli attori locali, come invece la Direttiva Quadro Acque (art.14 Informazione e consultazione pubblica, nda) prevede per questo tipo di pianificazione». Così il progetto, secondo Agapito, si è chiuso su se stesso: «La nostra partecipazione nel “protocollo d’intesa” era motivata soprattutto a favorire i processi partecipativi, ma in Italia la partecipazione su progetti di questo tipo non è contemplata, non bisogna disturbare il “manovratore”».

Non è dello stesso parere Aipo, secondo cui gli incontri di consultazione del 2022 sono stati invece un successo. «La fase partecipativa coordinata sul territorio da Adbpo – ha dichiarato ad IrpiMedia sempre Zanichelli di Aipo – non ha fatto emergere particolari criticità anzi le comunità intervenute si sono dimostrate molto interessate e favorevoli». In realtà, il Report conclusivo degli incontri svolti nel 2022, disponibile sul sito di Adbpo, tiene traccia anche di punti di vista meno concilianti. Leggendo ad esempio degli interventi nella zona di Spinadesco (Cremona), ci si imbatte nella puntualizzazione da parte di una «associazione ambientalista», secondo il termine generico usato nel Report, che riferisce: «Gli interventi sulle piante alloctone non servono, se condotti una tantum, in quanto il problema si ripresenta periodicamente […] Non sono inoltre affrontati i temi fondamentali della qualità biologica della risorsa idrica e della sua disponibilità per usi collettivi. Questa partita è gestita dalle associazioni agricole che vedono nel fiume solo una risorsa economica e non un ecosistema complesso e fragile. Se non si riduce lo spreco e si migliora la qualità delle acque si chiede di che rinaturazione si stia parlando».

Le associazioni ambientaliste sembrano un po’ tutte preoccupate: il Circolo Legambiente di Polesine Parmense “Aironi del Po” è molto critico sul progetto: «I veri problemi sono nati quando Wwf e Anepla sono stati esclusi e le aree di intervento sono passate da 37 a 56. A quel punto entrano in scena Aipo e le Regioni, che vogliono spartirsi i finanziamenti – sostiene il presidente del Circolo Massimo Gibertoni – questo preclude la partecipazione, la gestione verticistica è in contrasto con lo spirito dell’iniziativa. Inoltre, le Regioni hanno un approccio troppo diverso e anche delle normative differenti riguardo agli stessi temi. Mancano poi il monitoraggio naturalistico iniziale e la visione d’insieme, non si sa da che punto si parte».

Muovendosi lungo il fiume con in tasca qualche numero di cellulare passato da Georg, non è difficile raccogliere impressioni in linea con quelle espresse dai Circoli di Legambiente. Cominciamo con Roberto Guzzon, guida ambientale ed escursionistica che da anni accompagna le persone tra i sentieri dell’Oasi Golena di Panarella (Rovigo), proprio in riva al Po. «Quando si va ad agire in un ambiente come le rive di un fiume – commenta Roberto, circondato dalla vegetazione dell’Oasi – bisogna prestare attenzione a moltissimi elementi. Il Pnrr prevede che tutto si concluda in soli tre anni, un tempo in cui è davvero difficile rispettare i cicli naturali. Per intervenire in modo efficace sugli habitat, è necessario infatti valutare quali specie sono presenti, tenere in considerazione i periodi stagionali di nidificazione degli uccelli, studiare il modo migliore per intervenire sulle alloctone e le invasive in modo che il risultato sia duraturo». Le golene, come quella in cui ci addentriamo insieme a Roberto, sono ambienti intricati, periodicamente allagati dalle acque del fiume. Georg stesso ha delle perplessità sul modo in cui Aipo gestirà i tempi degli interventi: «Già adesso – ci fa notare – nelle operazioni sulla vegetazione non si tiene conto dei cicli vitali degli impollinatori, mettendoli in difficoltà». Mentre litighiamo con le zanzare, Roberto ci mostra una manciata di semi, aprendo la mano macchiata dalle more del gelso: «Eccole, le alloctone. Questi sono i semi di Amorpha fruticosa, un arbusto americano. Più la tagliano, più cresce e ruba spazio alle autoctone. Serve una strategia seria, non interventi spot, slegati l’uno dall’altro».

Ma chi è sensibile al tema della biodiversità ha anche altre preoccupazioni, oltre ai tempi e alle modalità degli interventi. Altri due problemi che secondo tanti il progetto di rinaturazione avrebbe dovuto affrontare, anche se sfuggono alla competenza di Aipo, sono la lotta al bracconaggio e la valutazione degli impatti dell’agricoltura. Di reti illegali, frigoriferi Algida traboccanti di pesce rubato, e interessi criminali sulla pesca ci hanno parlato in molti sul fiume. Stefan, austriaco, amico di Georg che gestisce un campo per la pesca al siluro a Serravalle (Ferrara), e Matteo, un frequentatore del campo, ne sanno qualcosa. Scambiamo qualche chiacchiera in una giornata nebbiosa. «L’antibracconaggio dovrebbe essere la prima e più importante azione per rendere il fiume più naturale – spiega Matteo davanti a un caffè. Negli anni passati ha aiutato le autorità a individuare i bracconieri – insieme al controllo degli sversamenti. Con il passare del tempo, il fenomeno della pesca illegale si è ingrandito molto e ha danneggiato la biodiversità, finché le autorità hanno dovuto riconoscerlo». «È difficile combattere i bracconieri – aggiunge Stefan, nel suo italiano ancora un po’ incerto – quando si fa una segnalazione, spesso l’intervento dei carabinieri non arriva subito. Passa tempo, e loro riescono a scappare. Ma tutti sanno quello che succede».

Per quanto riguarda l’impatto delle attività agricole, sempre nel Report conclusivo degli incontri di consultazione sono stati registrati vari input degni di nota. Per citare sempre la zona di Spinadesco, si rileva che «si è documentata una significativa e continuativa presenza di scarichi, molto probabilmente di natura agricola, le cui scie schiumose/oleose si diffondono per chilometri», mentre a Stagno Lombardo (Cremona) «le lanche (i meandri del fiume in cui si concentrano le acque stagnanti, nda) stanno morendo assediate dalla pioppicoltura intensiva. Si chiede di rivedere il progetto». In molte zone sulle rive del Po, infatti, le coltivazioni di pioppo da carta, affascinanti nella loro geometria, contrastano con i vitali labirinti formati dai boschi naturali. I pioppeti non solo tolgono spazio agli habitat fluviali, ma contaminano acque e terreno a causa dei fitofarmaci. «Le persone non capiscono che, se gli equilibri del fiume si rompono, va a rotoli anche l’agricoltura – commenta Georg, alzando la voce per coprire il rumore del motore della Nena – e ho paura che avverrà presto».

 

Un futuro incerto 

È evidente come in queste prime fasi del progetto non si sia affrontata la complessità del concetto di rinaturazione, che non può essere ridotto a un piano da eseguire come fosse un processo industriale. Rinaturare il fiume infatti significa anche adattarsi ai tempi con cui la natura può riconquistare armonicamente lo spazio che le si lascia, coscienti che certi adattamenti di piante e animali alle condizioni attuali richiederanno comunque molto tempo. Allo stesso modo, anche il rapporto con i 106 Comuni e le innumerevoli realtà toccate dal progetto avrebbe potuto evolversi in modo diverso. Se non avessero “tagliato” il confronto con la società civile, le autorità avrebbero potuto gestire meglio questa fase, riconoscendo esigenze locali e punti di vista opposti.

Non sono infatti solo gli ambientalisti a essere delusi dal progetto incluso nel Pnrr. Parlando con amministratori e semplici cittadini, l’insoddisfazione trasversale sul livello di coinvolgimento dei territori si combina con paure preesistenti. Tutti hanno sentito parlare del progetto di rinaturazione, ma pochi sembrano conoscerne il contenuto, e, per tanti, il tema più urgente rimane quello della navigabilità. Navigabilità e rinaturazione, in molti punti del fiume, sono in contrasto, soprattutto dove la profondità necessaria al passaggio delle barche più grandi è garantita solamente dall’opera dell’uomo. Ce ne parlano i Soci dell’Arci Pesca di Pontelagoscuro (Ferrara), che vorrebbero mantenere il fiume agibile – il più possibile, anche rimuovendo sedimenti dal fondo del fiume e costruendo delle dighe, se serve; lo raccontano i meatori di Aipo, ossia gli addetti al controllo della profondità, che fanno questo lavoro da generazioni e vedono il loro fiume perdere anno dopo anno la sua centralità come via di comunicazione, perché sempre meno percorribile dalle imbarcazioni; e ne discute anche Georg, che da una parte si accorge del livello sempre più basso delle acque e ha difficoltà con il battello, ma dall’altra è consapevole che ridare spazio ai fiumi, seppur a discapito della loro navigabilità, ha reso gli abitati circostanti più sicuri e ha fatto rifiorire la biodiversità fluviale.

Navigabilità e partecipazione – insieme all’impatto sulle attività produttive – sono state anche tra i punti cardine di una piccola “rivolta” dei sindaci insoddisfatti dal progetto di rinaturazione, avvenuta pochi mesi fa nel cremonese. «Nella Cabina di regia del Pnrr – aveva dichiarato Roberto Mariani, sindaco di Stagno Lombardo – manca un rappresentante degli enti locali, una carenza che ha creato un cortocircuito». Giuseppe Uberti, della Libera associazione agricoltori cremonesi, aveva aggiunto nella stessa occasione: «Finora è passato tutto sopra le nostre teste. Si tratta di un progetto che ci è stato catapultato addosso, tra l’altro anche mediante schede poco leggibili. E non si riesce a capire fino a che punto sia modificabile. Questo piano va a interessare moltissimo le concessioni demaniali degli agricoltori e rischia di travolgere coltivazioni, investimenti e lavoro».

Chi amministra Comuni più piccoli lungo il Po è in difficoltà da anni. Queste zone fanno i conti con minacce che si chiamano crisi economica, spopolamento e, nella zona del Delta, il mare stesso. «Qualche anno fa avevamo paura a dirlo – racconta Michele Domeneghetti, sindaco di Corbola (Rovigo), ordinando un’acqua brillante al bar di fronte al Comune – perché è difficile da spiegare, ma noi, qui, se non si fa nulla, tra pochi anni andiamo sotto». Domeneghetti non esagera. Si confronta con la prospettiva concreta di un innalzamento del livello del mare di +1,428 metri entro il 2100, a causa della crisi climatica, che per i Comuni all’interno del Parco regionale del Delta del Po avrebbe conseguenze serissime. «Noi vogliamo dare fiducia al Piano e al progetto di rinaturazione, ma le tante progettualità del Pnrr che ricadono sul Po forse dovrebbero rispondere anche a questi problemi».

 

Giocare col fuoco 

Arrivati a questo punto, per evitare di rimanere avvinghiati in una ragnatela di interessi e prospettive, è necessario fare un passo indietro. Allontanarsi quanto basta per vedere il progetto di rinaturazione nel contesto in cui questi progetti vengono studiati in tutta Europa. Il Po è un gigante ferito, che il progetto inserito nel Pnrr non può guarire da solo; ma questa azione, se portata avanti con successo, potrebbe diventare un’importantissima prova generale di ripristino della natura, proprio mentre l’Europa sta provando a darsi un regolamento senza precedenti: la Restoration Law, parte integrante del Green Deal e attualmente in discussione. Questa legge renderebbe giuridicamente vincolante per gli Stati membri ripristinare gli habitat per renderli resilienti al cambiamento climatico. Uno dei target previsti è proprio la rinaturazione dei fiumi per il 15% della loro lunghezza entro il 2030.

La rinaturazione, infatti, spiega Andrea Agapito Ludovici di Wwf Italia, è un’alleata importante. Consente di «rafforzare la naturale fascia fluviale con una funzione di “spugna”: durante le alluvioni la fascia raccoglie acqua e sedimenti, ne rallenta la velocità, aumenta il tempo in cui viene raggiunto il picco di piena, consente di ridurre l’impatto sulle infrastrutture, favorisce la ricarica delle falde, mentre durante i periodi di siccità attenua i deficit idrici rilasciando progressivamente ciò che ha accumulato durante l’anno». «Distruggendo le aree naturali lungo i fiumi non solo si arreca un danno enorme alla biodiversità – aggiunge Marco Falciano, avvocato, giornalista e attivista della Rete per la giustizia climatica di Ferrara – ma si intacca la stabilità e si aumenta il rischio idrogeologico. Tutti i fiumi recentemente usciti dagli argini l’hanno fatto in zone non alberate».

Con la velocità a cui procede il riscaldamento globale, non c’è molto tempo: le azioni di rinaturazione dovrebbero essere traslate velocemente su tutti i fiumi canalizzati. Anche sul Delta del Po intanto – come in altre zone a rischio per l’innalzamento del livello del mare – occorre pensare lontano: «L’aumento delle acque alte e delle esondazioni nelle zone abitate è un problema, ma bisogna considerare anche che oggi le aree del Delta sono per la maggior parte dedicate alla pesca e all’agricoltura – spiega il professor Paolo Ciavola, ordinario di Geografia fisica e Geomorfologia dell’Università di Ferrara – Entrambe queste attività sono meno redditizie che in passato, l’agricoltura risente pesantemente dell’aumento della salinità delle acque. Bisognerebbe quindi iniziare a ragionare con un nuovo approccio building with nature, invece che ingegneristico. Si potrebbe al tempo stesso proteggere i centri abitati ma far tornare le zone agricole alla loro precedente situazione paludosa, per non sfruttare il Delta solo a livello agricolo».

Questa visione adattativa in Europa è sempre più diffusa, tanto che alcuni Paesi stanno dando seguito alla Dichiarazione universale dei diritti dei fiumi, in virtù della quale i grandi corsi d’acqua dovrebbero avere il diritto di scorrere e modificare il proprio corso. In Italia invece l’approccio basato sulle cosiddette nature based solutions fatica a diventare patrimonio comune. La questione è, quindi, anche culturale, e proprio per questo il coinvolgimento della popolazione e la divulgazione dovrebbero essere parte integrante di un progetto come quello inserito nel Pnrr. Per quanto aggrovigliato, il Po è infatti un filo rosso in grado di collegare persone che desiderano attivarsi per il proprio territorio.

Domeneghetti, il sindaco di Corbola, su questo ha le idee chiare: «Oggi il Po per chi non lo conosce è solo una minaccia o una discarica, è proprio il non vivere il fiume a generare ogni nostro problema. Le persone non lo sentono vicino, salgono in macchina e gli danno le spalle. Il fiume, che una volta era un collegamento con luoghi lontani o un punto d’incontro, è diventato qualcosa di sconosciuto, anche per chi vive a dieci metri di distanza. Io credo che più riusciremo ad avvicinare le persone al Po, più le coinvolgeremo, più vinceremo anche sulla rinaturazione».

Georg non è con noi mentre il sindaco parla e sugli argini si fa sera, ma sarebbe d’accordo: «I Ferraresi, anzi, direi le persone in generale hanno un rapporto strano con il Po – aveva detto poche ore prima, in battello – Non ne riconoscono il valore. Per sopravvivere dobbiamo studiare i sintomi del cambiamento climatico, notare i mutamenti ordinari e non. Qui prati, boschi e isole compaiono e scompaiono, il percorso dell’acqua si trasforma. E noi dobbiamo assecondare il fiume, viverlo, parlarne, capire come lavora. Dobbiamo cambiare sistema».