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16 Settembre 2022

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I progetti del Pnrr sull’idrogeno sono in mano ai big dell’oil&gas

Affiancate nella ricerca sull’idrogeno dalle principali università italiane, aziende come Eni e Snam ottengono finanziamenti per la transizione energetica senza ridurre l’utilizzo di combustibili fossili

di Edoardo Anziano, Francesca Cicculli

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Questa è la terza puntata dell’inchiesta “Le mani sulla Ripartenza” sul conflitti di interessi e le opacità del Pnrr in Italia, organizzata in collaborazione fra IrpiMedia e The Good Lobby.
Il progetto è finanziato dai cittadini e dalle cittadine. Vuoi partecipare? Dona ora >>


Un anno e mezzo fa, a marzo 2021, IrpiMedia già raccontava le attività di lobbying che le aziende dell’oil&gas stavano attuando in Europa per far includere l’idrogeno nei piani nazionali del Recovery Fund. I progetti promossi a Bruxelles da queste aziende, ad analizzarli con attenzione, dimostravano già che il vero obiettivo non era tanto produrre e utilizzare l’idrogeno, quanto piuttosto continuare a vendere e a trasportare gas. L’idrogeno infatti non esiste in natura ed è prodotto quasi interamente attraverso la gassificazione del carbone o lo steam reforming del gas naturale (idrogeno “grigio”), ad alte emissioni di CO2. Allo steam reforming si può affiancare la cattura e lo stoccaggio della CO2 e produrre idrogeno “blu”. Esistono anche metodi di produzione più “puliti”, come l’elettrolisi dell’acqua sfruttando energia rinnovabile (idrogeno “verde”), ma resta economicamente non competitivo e di difficile distribuzione e conservazione. Improbabile quindi che possa rappresentare, almeno nei tempi brevi richiesti dalla crisi climatica ed energetica in corso, il game changer della transizione ecologica.

È piuttosto un cavallo di troia, una tecnologia abbastanza nuova ed entusiasmante da dipingere efficacemente di “verde” piani che nella pratica faranno ben poco per ridurre le emissioni di CO2 nel nostro Paese.

Nonostante questo, il Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) italiano affida più di 3 miliardi di euro alla componente per la produzione, distribuzione e utilizzo dell’idrogeno (Missione 2 Componente 2), a cui si aggiunge una parte non facilmente quantificabile degli 11,4 miliardi della Missione 4 Componente 2 “Dalla ricerca all’impresa”, che prevede fondi anche per la ricerca sull’idrogeno.

Leggendo i bandi finalmente pubblicati per i finanziamenti alla filiera dell’idrogeno e le liste dei beneficiari, appare chiaro che le aziende del gas siano riuscite a dettare la linea per la nuova strategia energetica. Tra i principali vincitori dei finanziamenti, infatti, figurano proprio quelle aziende che in Europa hanno fatto lobbying per l’idrogeno e che vogliono produrlo da combustibili fossili. A loro fianco, gran parte delle università pubbliche italiane, divenute partner strategici delle aziende vincitrici e beneficiarie a loro volta di fondi per la ricerca e lo sviluppo sull’idrogeno.

UniBo ed Eni: l’accordo per la ricerca sull’idrogeno

L’accordo tra un ateneo pubblico e una azienda controllata dallo Stato non è materia di interesse per i cittadini. Lo ha stabilito – unilateralmente – l’Università di Bologna, rispondendo a una richiesta di accesso civico generalizzato che IrpiMedia ha presentato per conoscere i dettagli di una partnership firmata a maggio 2022 con Eni, gigante del petrolio che ha come maggiore azionista il Ministero dell’economia e delle finanze.
L’accordo fra UniBo ed Eni ha come oggetto la realizzazione di un laboratorio con sede a Ravenna «dedicato alle nuove tecnologie per la decarbonizzazione e la transizione energetica». In particolare, le ricerche si concentreranno sulla produzione sostenibile di idrogeno e la cattura e stoccaggio di CO2.

Secondo UniBo e ENI, che in quanto soggetto controinteressato si è opposto alla nostra richiesta, non ci sono motivi di interesse pubblico per rilasciare il testo dell’accordo. I giornalisti di IrpiMedia, recita il parere di UniBo, non avrebbero fatto richiesta in nome delle «riferite finalità pubblicistiche» – ovvero il diritto di cronaca su fatti di pubblico interesse -, bensì ispirati da «un bisogno conoscitivo esclusivamente privato, individuale, egoistico o peggio emulativo», non utile a «favorire la consapevole partecipazione del cittadino al dibattito pubblico».

L’inchiesta che state leggendo è prova, se ce ne fosse bisogno, che il nostro interesse invece è unicamente quello di pubblicare storie importanti per la collettività.

Nel 2021 IrpiMedia, insieme a Scomodo, aveva presentato un’altra richiesta di accesso agli atti, riguardante un precedente accordo su energia e ambiente tra Eni e l’Università di Bologna datato 2017. La richiesta era stata accolta, seppur con l’invio del testo pesantemente censurato. Nel caso del nuovo accordo sul Laboratorio di Ravenna, invece, anche il ricorso presentato alla Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza di UniBo è stato rigettato, nonostante le evidenti similitudini rispetto al tipo di documento richiesto nella prima istanza.

Non è una questione puramente formale: come è possibile decidere se un accordo tra un’università pubblica e una controllata dello Stato italiano è di pubblico interesse se non se ne conoscono i dettagli?

In generale, prestare attenzione a come le major del petrolio guardano al futuro e alla crisi climatica è un dovere giornalistico. Nel report della fondazione Finanza Etica del 2021, emerge che Eni, nel suo piano industriale 2021- 2024, riserva solo il 20% degli investimenti ad attività verdi, il resto finanzierà ancora i combustibili fossili. Fino al 2030, inoltre, ridurrà le emissioni nette totali delle proprie attività solo del 25% e l’intensità carbonica di appena il 15%. «Quindi per altri 10 anni Eni avrà un impatto sul clima molto vicino a quello che ha oggi», si legge nel report. Per quanto riguarda l’idrogeno blu, all’interno del piano di decarbonizzazione 2021 di Eni, questo è diventato molto più importante rispetto al piano precedente.

Lo stesso nome dato al laboratorio di Ravenna è ambiguo – Hydrogen and Carbon use through Energy from Renewables – perché mette insieme l’idrogeno blu con cattura del carbonio e idrogeno verde prodotto da energie rinnovabili.

«L’università dovrebbe essere favorevolissima a fare ricerca sull’idrogeno verde, ma non dovrebbe fare ricerca sull’idrogeno blu. Non è la strada giusta. L’idrogeno prodotto con elettrolisi dell’acqua è pulito, perché non emetti anidride carbonica, se fai idrogeno blu devi essere bravissimo a catturare tutta la CO2, ed è impossibile praticamente», ha commentato a IrpiMedia Vincenzo Balzani, professore emerito di chimica dell’Università di Bologna. «Produrre idrogeno blu senza catturare tutta l’anidride carbonica non va bene per il clima e non dovrebbe andar bene neanche per l’università. L’università ha il diritto di fare accordi con chi vuole ma non ha il diritto di fare accordi controproducenti di fronte alla crisi climatica», afferma Balzani.

Non potendo vedere il testo dell’accordo, non possiamo essere certi se l’Università di Bologna intenda aiutare Eni a produrre idrogeno dal gas. Valerio Cozzani, professore ordinario del Dipartimento di ingegneria civile, chimica, ambientale dell’ateneo bolognese, intervistato da IrpiMedia, non chiarisce del tutto il punto, ma spiega che l’accordo con Eni nasce dalla volontà di entrambe le parti di fare ricerca sulla produzione di «idrogeno sostenibile, e cioè prodotto principalmente da energie rinnovabili». «L’ateneo di Bologna porterà avanti delle idee che se si dovessero rivelare applicabili, verranno poi applicate industrialmente da Eni per suo conto», spiega Cozzani.

Se queste sono le basi dell’accordo, non si capisce come mai Eni si sia opposta alla richiesta di accesso agli atti presentata da IrpiMedia. La decisione, per altro, non fa appello a eventuali fughe di idee che potrebbero avvantaggiare i competitors, ma alla presunta assenza di interesse pubblico. Eppure, sia UniBo che il Cane a sei zampe risultano beneficiari – tanto in partnership quanto singolarmente – di fondi del Pnrr, ovvero pubblici, legati allo sviluppo e alla ricerca sull’idrogeno.

Pnrr fossile, vestito di verde

La ricerca e lo sviluppo dell’idrogeno sono finanziati principalmente da due Missioni del Pnrr italiano: la Missione 2 dedicata alla “Rivoluzione verde e transizione energetica” e la Missione 4 “Istruzione e ricerca”. In entrambi i casi, i bandi per la riscossione dei finanziamenti per l’idrogeno sono stati molto partecipati. A vincere, sia come proponenti che come co-proponenti dei progetti, le principali università statali italiane, tra cui l’Università di Bologna, e le più grandi aziende fossili, come Eni e Snam.

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Il glossario

Gas rinnovabili: si tratta di gas combustibili non fossili che, per la legislazione europea ancora in corso di definizione, vengono considerati strumento efficace del processo di decarbonizzazione richiesto dalle nuove politiche contro i cambiamenti climatici. La definizione è basata o sul basso livello di emissioni prodotte, o sul processo di produzione.

e-fuel / Carburanti sintetici: sono idrocarburi non fossili prodotti “in laboratorio” tramite processi di sintesi. Di base tutti gli idrocarburi sono molecole a base di carbonio e idrogeno, e possono quindi essere prodotti da una miscela di questi elementi.

Idrogeno verde: idrogeno ottenuto tramite elettrolisi dell’acqua, alimentata esclusivamente da elettricità ottenuta da fonti rinnovabili al 100%, come eolico o solare.

Idrogeno blu: idrogeno prodotto dalla scomposizione di gas fossile, un processo inverso a quello dei carburanti di sintesi. La sua produzione (da gas fossile) separa idrogeno e carbonio. Per essere considerato “blu” (e quindi “a basse emissioni”) deve essere prodotto assieme a un processo di cattura del carbonio affinchè non sia rilasciato nell’atmosfera. Tale tecnologia al momento non sembra aver raggiunto livelli efficaci.

Blending: “miscelazione”, nel contesto di questo articolo fa riferimento all’intenzione dei distributori del gas di mischiare assieme idrogeno e metano nella rete di distribuzione già esistente.

GNL: il Gas Naturale Liquefatto è una miscela di idrocarburi composta per almeno il 90% da metano e per la restante parte da etano, propano e butano. Il suo volume è circa 600 volte inferiore a quello del gas naturale e per questo è più economico trasportarlo e stoccarlo. Di solito il trasporto, soprattutto per le lunghe distanze, avviene attraverso navi metaniere. Il GNL deve essere rigassificato prima di essere immesso nella rete nazionale.

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