Andrea P.
Ieri
Valentino F.
2 giorni fa
Marco P.
2 giorni fa
L’immagine in copertina ritrae un murales realizzato nelle strade di Barcellona dall’artista TVBOY
Oggi è la volta delle parti sociali: il presidente Draghi sta incontrando i sindacati, Confindustria e alcune associazioni di categoria e organizzazioni come Confcommercio, Coldiretti, Legambiente. Di per sé, è già una bella novità: ci ricordiamo di un solo altro caso in cui un premier incaricato ha convocato organizzazioni che rappresentano interessi diffusi come Greenpeace e il WWF per redigere il programma di governo. The Good Lobby, e con noi altre centinaia di migliaia di soggetti della società civile in rappresentanza di tantissimi temi e punti di vista, purtroppo non non verrà audita oggi né nei prossimi giorni. Questo spegne un po’ il nostro entusiasmo: finalmente – come già avviene nello spazio politico europeo – si dà ascolto anche alla società civile – ma questa prassi andrebbe estesa e consolidata. Non sono solo i grandi nomi del mondo ambientalista a meritare di avere udienza; anche i rappresentanti di temi cruciali (i diritti civili e politici, le marginalità sociali, le rivendicazioni giovanili e femminili) meritano un posto al tavolo decisionale, perché il loro punto di vista è essenziale per mappare le aspettative di cambiamento in questo Paese.
Non è avvenuto, ma se Draghi ci avesse convocati, gli avremmo certamente indicato le nostre priorità per i prossimi mesi. Sono tre, e si potrebbero attuare senza metter mano al portafoglio. Anzi, pensiamo che sarebbero essenziali proprio per salvaguardare il portafoglio e fare in modo che i fondi del Recovery Plan vengano spesi nel modo più efficace e trasparente e che non finiscano nelle mani sbagliate.
Se Draghi ci avesse ascoltati, gli avremmo detto che è il momento giusto per introdurre una legge sul lobbying. Perché se una regolamentazione venisse varata adesso, le istituzioni sarebbero vincolate a convocare proattivamente i portatori di interessi particolari e diffusi (questi ultimi, troppo spesso marginalizzati nel dibattito politico). E potrebbero beneficiare del punto di vista di chi i temi di discussione pubblica li conosce sul campo – contribuendo così a portare dati, informazioni, sensibilità essenziali per poter deliberare in modo efficace.
Ma una regolamentazione sul lobbying garantirebbe anche di rendere tracciabili le interazioni tra i decisori pubblici e i rappresentanti di interessi, permettendoci di capire quali soggetti il ministro o il sottosegretario tal dei tali hanno convocato prima di varare un’iniziativa di legge, o riconoscere che il punto di vista dei cittadini, di chi magari si batte per l’ambiente, per i diritti civili, per l’inclusione sociale, fatica a trovare udienza nei luoghi del potere. L’Europa (e l’Italia) stanno per lanciare il più ambizioso programma di aiuti economici dalla Seconda guerra mondiale a questa parte: non possiamo permetterci di compiere le scelte sbagliate, di concedere troppi incentivi o sussidi a chi è bravo a farsi ascoltare dalle istituzioni togliendo al contrario opportunità a fette consistenti della popolazione (i giovani, le donne, i disoccupati) che non possono contare su un altrettanto forte capacità di farsi ascoltare.
La seconda richiesta urgente riguarda il conflitto di interessi: l’Italia deve dotarsi subito di una disciplina organica su questo tema cruciale, per scongiurare ingiustificabili favoritismi. In assenza di una normativa adeguata, c’è il rischio che ministri, parlamentari, amministratori pubblici prezzolati facilitino l’afflusso di risorse pubbliche ad amici, congiunti, clientele di vario genere, ex soci e datori di lavoro. Addirittura, senza regole sulle “porte girevoli”, nulla vieterebbe a un nostro rappresentante di favorire un soggetto privato con la promessa poi di venir ricompensato con una consulenza o un’assunzione una volta terminato il mandato, anche anticipatamente. Draghi, vista la sua esperienza di alto profilo come presidente della Banca Centrale Europea senz’altro saprà che è proprio l’Unione Europea chiederci di colmare le lacune del nostro quadro anticorruzione: la Commissione europea ci ha già invitati in passato a regolamentare il conflitto di interessi e arginare le porte girevoli fra politica e affari.
La terza cruciale richiesta è che per il Recovery Plan sia prevista la massima trasparenza. Stiamo parlando di fondi pubblici essenziali per uscire da una crisi senza precedenti che dovranno creare nuove opportunità di lavoro e gettare le basi per lo sviluppo futuro del Paese. Nell’ultima bozza del Piano approvata dal governo Conte, dal Piano è scomparsa la piattaforma open data che avrebbe garantito un monitoraggio diffuso sui beneficiari delle risorse messe a disposizione dall’Europa, sui tempi di attuazione dei progetti e sul loro loro stato di avanzamento. Come più volte denunciato dalle autorità e dalle procure, i fondi del Recovery fanno molta gola alla criminalità organizzata e rischiano di mettere in moto processi corruttivi di vasta scala. Anche per questo, trasparenza e monitoraggio dal basso sono strumenti essenziali per tenere sotto controllo l’utilizzo delle risorse. Stimolare la partecipazione dei cittadini, facilitare l’occhio vigile della società civile organizzata: non si tratta solo di modi per evidenziare falle e anomalie nella gestione dei fondi, ma anche per fare della società civile uno dei capisaldi delle prossime scelte fatte dalle istituzioni. E una società civile solida e attiva è un anticorpo essenziale per combattere sfiducia e impotenza.