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3 Giugno 2021

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Whistleblowing: in Slovacchia si premia, in Italia si licenzia

di Fabio Rotondo

Nella legge italiana mancano i premi ai segnalanti

Nell’articolo sul caso Hamala Diop, l’operatore sanitario che ha vinto una causa per aver segnalato  le condizioni di lavoro irregolari che era costretto a subire nella  Rsa milanese in cui prestava servizio durante la pandemia, vi avevamo anticipato che entro quest’anno l’Italia deve adottare nel proprio sistema normativo la Direttiva europea sul whistleblowing approvata a ottobre 2019.  Oggi invece vogliamo parlarvi di un aspetto molto importante: i premi che i whistleblower dovrebbero ricevere per le loro segnalazioni. Nel farlo confrontiamo due casi: il primo quello del giornalista italiano Nicola Borzi, il secondo quello del medico slovacco Rastislav Šaling. Entrambi sono diventati whistleblower nel 2016, ma hanno avuto una sorte diversa.

 

Il punto di Nicola Borzi

Nicola Borzi è un giornalista e scrittore che collabora per varie testate nazionali. La sua storia l’avevamo raccontata nel 2017 quando è scoppiato lo scandalo del Sole 24 Ore. Nicola ha lavorato per 26 anni per il noto giornale finanziario italiano ed è sempre stato un segugio nel scoprire illeciti finanziari, infatti il suo lavoro è sempre stato apprezzato durante i suoi anni di onorata carriera. Tuttavia, un giorno è stato messo in condizione di dover lasciare il posto di lavoro per aver denunciato, dopo quattro anni di indagini interne, al collegio sindacale, alla Consob e all’organismo 231 del giornale, le anomalie dei bilanci e nella rappresentazione dei dati di vendita e diffusionali. L’abilità finanziaria e d’inchiesta di Nicola si è ritorta contro il Sole, il cui management stava conducendo delle operazioni sospette per agevolare una fusione aziendale in corso. In pratica Borzi aveva scoperto che gli allora vertici del giornale i dati sull’andamento delle vendite, soprattutto delle copie digitali del giornale. L’inchiesta della Procura di Milano si è chiusa con il patteggiamento di Benito Benedini (ex presidente) e Donatella Treu (ex amministratore delegato) mentre l’ex direttore Roberto Napoletano è ancora a processo per false comunicazioni sociali (secondo l’accusa ha travalicato il ruolo giornalistico di direttore assumendo comportamenti da manager). Siamo solo al primo grado, Nicola potrebbe essere coinvolto nuovamente nel secondo grado.

 

Nicola, sbaglio o non ne parla più nessuno di questa vicenda? Eppure la magistratura sta ancora andando avanti. 

 

“Nel 2016-17 quando scoppiò lo scandalo molti giornali se ne occuparono. Dal 2020 è calato il silenzio, solo il Fatto Quotidiano ha scritto ancora qualcosa. Nella mia opinione la nuova presidenza di Confindustria ha deciso di far scendere un velo di silenzio sullo scandalo come se si fosse risolto coi patteggiamenti di Benedini e Treu e come se la storia si fosse chiusa. In realtà non è chiusa perché sono stati chiesti a Benedini, Treu e Napoletano, con un’azione di responsabilità, danni per 15 milioni di euro in sede civile. La causa non  è ancora finita. E’ clamoroso questo silenzio, non si vuole più ricordare questa storia”.

 

Nicola, lei ha denunciato nel 2016, un anno prima dell’approvazione della legge sul whistleblowing (179/2017) e per questo non ha potuto godere rientrato delle tutele prevista dalla normativa. Quanto le sarebbe stata utile la protezione introdotta con la legge?  

 

“La legge del 2017 è buona nella sostanza ma molto fragile nell’applicazione pratica. Dato che all’epoca non era ancora in vigore, ho fatto le mie segnalazioni come azionista e usando i diritti di segnalazione di una società previsti dall’articolo 2408 del Codice Civile. Per questo motivo ho dovuto farlo a viso aperto senza potermi avvalere di coperture. Quando poi è uscita la legge ho fatte altre denunce ma ero già noto come segnalante. Non ho però ottenuto le tutele che mi sarei aspettato di ricevere con la legge, perché sono stato messo in condizioni di dovermene andare dal giornale dopo 26 anni: nel 2018 ho firmato un accordo consensuale di uscita. La legge è molto carente dal punto di vista delle tutele: manca la premialità nei confronti del whistleblower, prevista da alcune legislazioni estere come quella americana”.

 

La premialità significa ricompensare il segnalante con un premio, nel senso che riceve dei soldi per aver denunciato. Qual è la logica? Non solo incentiva le persone a non accettare le situazioni di corruzione ma aiuta l’azienda o lo Stato a recuperare dei soldi che sarebbero finiti nelle tasche sbagliate. Per esempio, se un infermiere si accorge che il direttore di un’azienda sanitaria locale, in accordo con la criminalità organizzata, riesce a intascare un quota di denaro spettante all’ospedale, la denuncia dell’infermiere può fare recuperare alla sanità pubblica una somma di denaro che sarebbe andata persa se nessuno avesse detto nulla. Quindi perché non premiare chi fa recuperare somme di denaro anche ingenti?

Oltre a questo aspetto, va considerato che l’istituzione di un fondo a tutela dei segnalanti permetterebbe di sostenere economicamente i whistleblower che hanno subito ritorsioni, spesso costretti ad affrontare ingenti spese legali se non addirittura la perdita del lavoro.

 

Ritorneremo su questo punto, intanto continuiamo a raccontare l’esperienza di Nicola.

 

Lei è stato costretto ad andarsene, ma sarebbe rimasto?

“Se non mi avessero sottratto la responsabilità del settimanale di cui mi occupavo e limitato gli spazi di scrittura, non me ne sarei più andato. Mi hanno messo sopra la testa uno dei giornalisti più vicini a Napoletano, per me lì dentro non c’era più spazio. Se mi avessero messo in condizioni di lavorare come gli ultimi 26 anni sarei rimasto, nessuno aveva mai avuto niente da ridire sul mio modo di lavorare”.

 

Ha avuto difficoltà a trovare un altro lavoro?

“Non è stato facile trovare lavoro, ora scrivo per molte testate ma se cercassi un ruolo in una società privata sono sicuro che troverei le porte chiuse in faccia. Conosco molti segnalanti che non riescono a trovare lavoro perché si sono esposti.”

 

Ha letto la Direttiva UE che l’Italia deve approvare entro l’anno?

“L’ho letta ma manca la premialità, che è fondamentale. Dopo aver fatto segnalazioni difficilmente un whistleblower trova lavoro perchè questo è il paese dell’omertà. A chi segnala danni contro la PA, il Fisco, o le società quotate sarebbe giusto assegnare premi come fanno in Usa da calcolare in base al contributo che si recupera grazie alla segnalazione. In modo che questi danni per il pubblico si trasformino in danni per chi li fa.”

 

E’ vero, nella Direttiva manca la premialità, tuttavia gli Stati membri possono offrire un livello di protezione più alto nella fase di implementazione, rafforzando le misure previste e introducendo ulteriori tutele e incentivi per i segnalanti, come la premialità.  In Europa recentemente c’è stato un caso storico: per la prima volta è stato premiato un segnalante, scopriamo chi è.

 

In Slovacchia si fa la storia

Il dottor Rastislav Šaling ha ricevuto una ricompensa di 3.000 euro dal Dipartimento della Giustizia slovacco dopo aver rivelato che alcuni documenti sanitari erano stati falsificati. Si tratta di una somma tutto sommato esigua ma che indica chiaramente che anche in Europa, così come avviene negli Stati Uniti, si può andare nella direzione di premiare i whistleblower per il servizio reso alla società.

 

Lavorava all’Ufficio regionale della sanità pubblica a Poprad e si è accorto che le ispezioni igieniche delle nuove imprese erano simulate e i documenti che ne autorizzavano l’apertura contenevano firme e timbri fasulli. Dopo la scoperta ha avvisato i suoi superiori ma questi lo hanno ignorato, così ha avvisato il Ministero della salute e la linea diretta dell’anticorruzione. Grazie alle sue rivelazioni l’anno scorso è stato condannato alla libertà vigilata per abuso d’ufficio.

 

A maggio di quest’anno Ratislav ha ottenuto una ricompensa di 3.000 euro ai sensi della legge slovacca sulla protezione dei segnalanti, approvata nel 2014 e rafforzata nel 2019. Si tratta di una legge conforme alla maggior parte degli standard europei e internazionali. Inoltre con le modifiche del 2019 è stato istituito, primo in Unione Europea e uno dei pochi al mondo, l’Ufficio di protezione dei segnalanti. E’ un organo con autorità legale che ha lo scopo di impedire a un datore di lavoro di intraprendere qualsiasi azione contro un dipendente, a meno che non sia in grado di dimostrare che il fatto non è avvenuto. Insomma grazie a questo Ufficio i dipendenti non hanno bisogno di andare in tribunale per salvare il proprio lavoro e soprattutto se segnalano illeciti vengono premiati dall’Ufficio stesso, come è avvenuto al dottor Šaling,. La prima direttrice dell’ufficio è la professoressa di diritto Zuzana Dlugošová, eletta dal parlamento slovacco con ampi voti e che nella sua lettera motivazionale per candidarsi alla posizione ha scritto che la collaborazione con le Ong sarà fondamentale per il suo mandato, perché sostenendo i segnalanti possono dare informazioni importanti alle istituzioni.

 

In Italia siamo lontani dal buon esempio

Mentre la Slovacchia premia i segnalanti, l’Italia non muove un passo per adottare la Direttiva europea. La società civile, tra cui The Good Lobby, ha più volte chiesto a che punto è la trasposizione della Direttiva, ma al momento non è arrivata nessuna risposta. Se i Paesi membri non adottano la Direttiva entro il 17 dicembre, andranno incontro ad una procedura d’infrazione che potrebbe concludersi con sanzioni salate, che ovviamente ricadranno sui cittadini attraverso le imposte. Noi chiediamo di accelerare la trasposizione della Direttiva, perché non vogliamo trovarci a dover pagare la sanzione ma vogliamo invece incentivare il whistleblowing e ridurre la corruzione nel nostro Paese. Nella Direttiva non è prevista la premialità, ma come abbiamo visto è possibile introdurla anche in Europa. Cosa aspettiamo?